A quasi ottant’anni dall’evento che si vuole ricordare, siamo ancora lì, ad assegnare patenti di nobiltà tra i veri antifascisti e quelli tiepidi. Non c’è dubbio che le difficoltà di questa destra a riuscire a dirsi antifascista abbiano un peso. Ma non è una questione di biografie politiche personali
Il 25 aprile si celebra la premessa fondativa della Repubblica: quella liberazione dall’occupante nazista e dai suoi collaboratori repubblichini alla quale concorsero le formazioni partigiane (di diverso colore politico, ma in larga parte di ispirazione comunista) e le unità del ricostituito Regio esercito. Dal punto di vista oggettivo, tutti coloro che provano un sentimento di lealtà verso la Patria repubblicana e democratica dovrebbero trovare in questa ricorrenza un motivo di comune appartenenza. Purtroppo non è così. Dalla nascita della cosiddetta Seconda Repubblica, le manifestazioni di piazza, con tutto il contorno che le precede e le segue, sono diventate oggetto di polemica feroce, in continuità con gli slogan degli Anni di piombo “ora e sempre resistenza!”, che sotto l’apparenza di voler attualizzare il ricordo della giornata della Liberazione, finiscono in realtà con piegarlo strumentalmente a favore della spicciola polemica politica.
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