Make gli altri great again

Non solo Putin, la Lega fa lobbying pure per Netflix, Amazon e Disney

Salvatore Merlo

Il partito di Salvini ha fatto proprie le posizioni dei colossi dello streaming che protestano contro l'obbligo di reinvestire in Italia una parte dei loro ricavi. La bandiera dei leghisti dovrebbe essere: “Prima gli stranieri”

Prima gli stranieri. Dalla Russia di Putin alla riesumazione dell’isolazionista semicirillico Trump, passando per le estreme destre di Olanda e Germania che farebbero di tutto affinché l’Italia non riceva un solo euro di debito comune, fino agli interessi lobbistici delle grandi piattaforme internazionali di streaming. Sono tutte cose diverse, ma tutte regolate dalla medesima legge matematica: se c’è un forte interesse straniero che si manifesta in Italia, di qualsiasi tipo esso sia, scoprirete fatalmente che il partito italiano che sostiene questo interesse è quasi sempre lo stesso... il partito di Matteo Salvini. Sicché l’unico partito che in Italia ancora si definisce “sovranista”, cioè la Lega, è in realtà il partito più “altrista”o “sudditista” rappresentato in Parlamento.

 

Mosso  certamente da una generosità e da un altruismo esterofilo indiscutibilmente disinteressati, ecco che il motto del sovranismo padano potrebbe essere: Make gli altri great again. E’ un’idea per la prossima campagna elettorale. Prima gli stranieri. Generosità. Specialmente poi se la cosa dà fastidio al governo di centrodestra presieduto da Giorgia Meloni, governo di cui  Salvini, in teoria, sarebbe anche uno dei  vicepremier. Ma questi sono dettagli.  Di fatto, come chiunque può notare da sé, tanto più  Meloni è filoucraina, tanto più la Lega scrive in cirillico. Tanto più Meloni è atlantista, tanto più la Lega manifesta il suo afflato per Trump che vorrebbe smantellare la Nato. Tanto più Meloni riesce a gestire il Pnrr mantenendo la rispettabilità italiana dei patti con l’Europa, tanto più la Lega tifa per i molti anti italiani diffusi nella politica tedesca e olandese, da quel bel tipo di Alice Weidel, la leader xenofoba dell’Afd che vuole chiudere il Pnrr, fino Geert Wilders (quello, tanto per ricordarne una, di “Geen Cent Naar Italie”, ovvero “nemmeno un centesimo all’Italia”).

 

L’ultima manifestazione di apertura all’estero della Lega, per così dire, l’ultimo atto di generosità disinteressata e altruista, riguarda l’industria dell’audiovisivo. Insomma le fiction e in particolare i colossi multinazionali dello streaming (Netflix, Amazon e Disney). Il lettore deve infatti sapere che esiste una direttiva europea non vincolante, ma applicata in Italia, che suggerisce la possibilità che gli stati membri chiedano alle piattaforme streaming  americane di impegnarsi nella realizzazione di contenuti prodotti in Europa. In particolare il governo Draghi aveva stabilito, a partire dal 1 gennaio 2024, che le piattaforme multinazionali come Netflix siano obbligate a reinvestire in prodotti europei il 20 per cento dei loro ricavi italiani. E nello specifico, di questo 20 per cento, un 50 per cento in prodotti fatti in Italia. Cos’è successo? Che le piattaforme americane si stanno ribellando. Lo considerano un sopruso. Vogliono produrre meno in Italia. Vogliono investire di meno. E hanno iniziato una legittima attività di lobbying in Parlamento.

 

Ecco. Indovinate quale forza politica, in commissione Cultura, ha fatto proprie le posizioni di Netflix e delle altre multinazionali per produrre di meno in Italia? Ma la Lega, ovviamente. E’ praticamente certo che i leghisti a breve otterranno, a vantaggio delle multinazionali, un taglio dell’obbligo di reinvestire in prodotti europei: dal 20 al 16 per cento. Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, vorrebbe allora che almeno di questo rimanente 16 per cento venisse investito in Italia il 70 per cento (a fronte dell’attuale 50). Chi è contrario ancora una volta? Indovinate un po’.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.