Le idi della Lega

"V" per Salvini. Ora vuole Vannacci candidato al nord contro Crosetto. Il tormento per i Verdini

Carmelo Caruso

Si aggrappa al generale per non farsi superare da FI ma ora anche la Lombardia, dopo il Veneto, comincia a mugugnare. Come per Bossi è la famiglia la sua forza e il suo tallone

Una lettera può salvare Salvini o perderlo del tutto. E’ la V. Vuole sopravvivere alla crisi della Lega candidando alle europee il generale Vannacci; è angosciato per la famiglia Verdini, che i magistrati “perseguitano”. Si è convinto che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, di FdI, con cui ha ingaggiato una battaglia, gli stia sporcando la pepita, il generale, la sola che gli può permettere di non scendere sotto l’otto per cento. Salvini ha cambiato idea. Vuole riproporre a Vannacci la candidatura non più al sud, ma in tutte le circoscrizioni, a cominciare dal nord ovest, nel Piemonte di Crosetto, ma anche di Calderoli e Molinari, Sardone. L’altra “v” è la “V” di Verdini. E’ la consonante che muove il cuore del segretario ed è pure la lettera che lo tormenta perché contro il suocero, “affettuoso e colto”, che è andato a trovare in carcere, raccontano nel partito, “c’è una furia che non si placherà. Gli indagheranno pure il cane”. Nella Lega i segretari non si riescono a pugnalare anche perché la sola volta che è accaduto, con Umberto Bossi, qualcun altro, un magistrato, ha risolto il lavoro dei congiurati. Se si dovessero prendere per buoni tutti  i tentativi della Lega di sostituire Salvini  saremmo già alla quarta resurrezione del segretario. Che i gruppi parlamentari rispondano a Salvini è vero ma è vero anche,  come dicono in FdI, che “un parlamentare risponde  al suo istinto di sopravvivenza, senza contare che Salvini ha dovuto ferire molti suoi uomini”.


Per colpa di Meloni, che non ha ascoltato ragioni, Calderoli ha perso la presidenza del Senato. Lo hanno visto piangere il giorno dell’elezione di Ignazio La Russa. Vannacci in Piemonte toglierebbe spazio alla moglie di Calderoli, Gianna Gancia, che potrebbe, a questo punto, non rincandidarsi. A Riccardo Molinari, il  capogruppo di Salvini alla Camera, l’erede di Fedriga, non ha potuto consegnare la presidenza di Montecitorio. E’ andata a Lorenzo Fontana, ma Fontana ha dovuto lasciare l’attività di partito. Il ministero dell’Agricoltura lo ha preso Lollobrigida ma era il ministero che voleva a Gian Marco Centinaio. A Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato, che per tutti i lombardi, anche i più riottosi, quelli del Comitato nord, i vecchi leoni con le stampelle, sarebbe il segretario ideale, era stata promessa la Lega Lombarda ma gli è stata negata. Si sono celebrati tutti i congressi, compreso quello Veneto, a eccezione di quello lombardo perché Romeo è leale a Salvini ma in guerra i leali non bastano, servono i pronti a morire. Salvini non è Meloni, sa sorridere, farsi voler bene da un partito che gli deve la sbornia, il tetto d’Italia, il trenta per cento ora diluito all’8.9 per cento. Come si può non voler bene a chi, lo ha dichiarato il suo vice Andrea Crippa, è riuscito a fare di un portaborse, un vicesegretario? Un giorno a un cronista, uno che gli aveva dedicato oltre 42 articoli in fila, che si era incapricciato, e che resuscitava pure i cadaveri contro il segretario, Salvini si presentò e disse: “Salve, sono il mostro. Come ha insulta lei, nessuno, ma devo riconoscere del talento”. E’ passato un anno da allora, da quando sembrava che pure Bossi, in carrozzella, potesse tornare a fare il leader della Lega, dalle visite che sono ricominciate, a Gemonio. C’è senza dubbio qualcosa che si ripete in queste lunghissime idi di marzo, forse irrealizzabili, di Salvini, ma c’è  qualcosa di nuovo in Salvini, il segretario che ha interrotto le comunicazioni telefoniche con i suoi governatori. Al momento le parole più severe le ha pronunciate un leghista d’acqua, e tono, dolce, un uomo rispettato come Attilio Fontana, il presidente della regione Lombardia. A Francesco Moscatelli, la vedetta milanese de La Stampa, ha dichiarato, e in chiaro, che “io ho un bel ricordo della Lega di Bossi”, ed è una frase per certi versi ancora più pesante di quella di Zaia “mi piaceva la Liga veneta”. Anche Fontana crede che l’esperimento nazionale si sia esaurito e che la Lega, la Lombardia, per geografia ed economia, guarda al di là delle Alpi e non sotto il Vesuvio. Pure Fontana è un pericoloso sabotatore? Pensare che la candidatura di Vannacci sia pericolosissima, per i suoi anni russi, le indagini, le possibili nuove rivelazioni, credere “che un imprenditore brianzolo non voglia avere nulla a che fare con Vannacci e che stiamo erodendo il capitale sociale”, è da vecchi leghisti o  da lombardi avveduti? Salvini ha deciso che la V di Vannacci è tutto quello che gli occorre per non essere sorpassato alle europee da Forza Italia che sarebbe ora la condizione, l’asticella che si è dato. Dicono dal partito che non abbia neppure preso in esame l’idea che Fedriga possa avere un ruolo da segretario e lui conservare quello di leader, come aveva provato a sperimentare Maroni con Tosi. L’altra V è quella che tutti temono possa scatenare la sua vendetta. Salvini non si sta consumando per ottenere il terzo mandato, e neppure per frenare lo strapotere di Meloni. Salvini si consuma d’amore, e spavento, per la sua bella Francesca Verdini Fossombroni, per la famiglia, che ora è pure la sua, inseguita come da dieci anni i giornalisti inseguono lui, la sua “caduta” che per Maria Giovanna Maglie, prima di morire, era “tecnicamente impossibile”. Lo era pure quella di Bossi che sarebbe ancora segretario della Lega se “La notte delle scope”, per estrometterlo, ferocemente, non gli avessero imputato la sola cosa che a un capo esaltato, offeso, maltrattato, rimane: la mano di una compagna. La famiglia.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio