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l'editoriale del direttore

L'urgenza di una Meloni anti trumpiana

Claudio Cerasa

L’opposizione si rialza, il Quirinale borbotta e la premier alla Casa Bianca scopre  che i suoi veri corazzieri sono i  vecchi nemici: i progressisti americani, i liberali europei.  Gran cortocircuiti, compreso Chico Forti

Una Giorgia anti trumpiana: slurp, chi lo avrebbe mai detto? La settimana che si chiude, per Giorgia Meloni, non è stata esattamente delle migliori. Lunedì ha scoperto di non avere più il dono dell’invincibilità. Nello stesso giorno ha scoperto che parte degli elettori del centrodestra ha sabotato in Sardegna il candidato governatore scelto da lei in persona. Nelle stesse ore ha visto le opposizioni lavorare tutte insieme per proporsi come alternativa al centrodestra. Pochi giorni dopo ha testato in prima persona quanto siano elettrici i rapporti con il Quirinale, quando il presidente della Repubblica ha considerato come un attacco personale le parole usate dalla presidente del Consiglio per segnalare che “è pericoloso se le istituzioni tolgono sostegno alla Polizia” (così come elettrici ormai da mesi sono i rapporti con la Santa Sede, molto critica con la premier sul metodo scelto dal governo per l’immigrazione: ultimo terreno di scontro l’accordo tra l’Italia e l’Albania). E poco prima di partire per gli Stati Uniti, dove ieri ha incontrato il presidente Joe Biden nell’ambito di un viaggio programmato da tempo per coordinarsi con l’Amministrazione americana nel contesto della presidenza italiana del G7, a Meloni è stata consegnata una lista degli scioperi previsti in Italia per questo mese: sciopero generale l’8 marzo, sciopero del personale Rfi il 13 marzo, sciopero minacciato dall’Anm contro l’ipotesi di un concorso per il reclutamento straordinario dei magistrati e poi a seguire sciopero del trasporto pubblico locale in Sicilia, a Milano, a Bolzano, a Parma. Meloni arriva alla Casa Bianca, da Joe Biden, con qualche certezza che inizia a mancare, sul fronte interno, sul fronte politico, sul fronte dei rapporti con alcuni pezzi da novanta del sistema italiano, ma arriva all’appuntamento con il presidente americano forte di una consapevolezza a sorpresa che invece inizia a maturare. E quella consapevolezza è clamorosa: più il fronte interno per Meloni inizia a essere politicamente turbolento e più il fronte esterno per la presidente del Consiglio comincia a essere strategicamente decisivo.

 

E più comincia a essere decisivo il fronte esterno, il fronte del rapporto con i leader stranieri, il fronte del rapporto con i leader del G7, il fronte del rapporto con i tasselli più importanti a livello internazionale della nostra politica estera, e più per Meloni comincia a essere chiaro quello che mai avrebbe immaginato: i suoi migliori alleati, in giro per il mondo, sono quelli che in teoria avrebbero dovuto essere i suoi peggiori nemici. Due casi su tutti: l’Amministrazione americana guidata da Joe Biden e la grande coalizione europea guidata da Ursula von der Leyen. Sul secondo fronte la questione è fin troppo evidente: la destra modello Meloni è nata per provare a scardinare la politica dei cosiddetti “inciuci” tra socialisti, liberali e popolari, che sono le tre forze che sostengono oggi e che proveranno a sostenere domani Ursula von der Leyen, ma la destra modello Meloni, oggi, per stabilizzare il paese, emanciparsi dagli estremismi, mettersi alle spalle i sovranismi ha un bisogno disperato del modello von der Leyen per poter contare qualcosa in Europa, e dunque vengano pure dentro Ecr i Zemmour, persino le Le Pen, ma dopo il 9 giugno la musica non può che cambiare, e toccherà cantare insieme il vero inno della stagione meloniana: scurdammoce ’o passato. Sul fronte americano, se ci pensate, la storia in fondo è simile.

E anche ieri, alla Casa Bianca, parlando con il presidente americano di Ucraina, di medio oriente, di Mar Rosso, di Piano Mattei, di Alleanza atlantica, la premier ha potuto toccare con mano quanto il modello Biden sia per il modello Meloni infinitamente più funzionale dello destabilizzante modello Trump, che sull’Ucraina ha una linea opposta a quella di Meloni e che anche sul medio oriente ha un’idea lontana tanto da Biden quanto dalla premier italiana (sintesi: spingere Israele a spostare il conflitto da Gaza all’Iran). Trump, ormai è chiaro, è uno dei grandi elefanti nella stanza del melonismo e qualche piccola scelta per non offrire sostegno alla corsa trumpiana la presidente del Consiglio in effetti l’ha fatta. Ha scelto di non nominare mai l’ex presidente americano (sedici mesi di governo, mai un accenno a Trump). Ha scelto di non partecipare neppure con un video alla convention dei conservatori americani organizzata da Trump (dove nel 2019 invece intervenne in presenza). E, a differenza di uno dei suoi vicepremier Matteo Salvini, ha scelto di non offrire alcuna forma di sostegno a Trump nella sua corsa alle primarie del Partito repubblicano (nota di colore: l’ultimo tweet fatto da Salvini su Trump, datato 25 febbraio, è stato ignorato dalla quasi totalità dei 66 deputati, 29 senatori e 22 europarlamentari della Lega e rilanciato solo da due leghisti su X: da Borghi e Bagnai). Per Meloni, il momento non è semplice: la maggioranza mugugna, l’opposizione si riorganizza, i sindacati si agitano, il Quirinale borbotta. Ed è forse proprio in momenti come questi che la presidente del Consiglio italiana può rendersi facilmente conto che i suoi migliori alleati, in giro per il mondo, quelli in grado di farla sentire a casa, di farla sentire apprezzata, di farla sentire gratificata, sono i corazzieri che nessuno, due anni fa, si sarebbe aspettato: i democratici americani (gli stessi che hanno aiutato Meloni a riportare a casa Chico Forti), i progressisti europei, gli inciucioni popolari tedeschi e i liberali dell’un tempo odiato Macron. Sono i miracoli della politica italiana: una Giorgia anti trumpiana, chi l’avrebbe mai detto?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.