Il racconto

Il Pd di Schlein va in tilt sul terzo mandato. Riunioni, call, tavoli e sindaci contro. La minaccia ai big

Carmelo Caruso

L'emendamento della Lega spacca amministratori e segretaria. Per paura di essere superati dal M5s, che vota contro, si cerca un compromesso che scontenta tutti. Il caso delle deroghe agli ex ministri

Un pasticcio, un ripieno, un culurgiones. Per bollire la posizione sul terzo mandato, il Pd manda a fuoco la  cucina. Quando sembra che l’emendamento della Lega, al Senato, non venga ritirato, e dunque messo al voto, oggi, nel Pd volano i grembiuli. Elly Schlein si trova a Cagliari, ma a Roma c’è il suo responsabile Enti locali, il Baruffi, che dovrebbe decidere la strategia. La posizione della segretaria è “no”, ma i sindaci del Pd rispondono: “E invece sì”. Alla Camera, i deputati iniziano a pregare: “Speriamo che Meloni e Salvini la risolvano tra di loro”. Si organizzano quattro tavoli analitici dem, tre videocall, due sedute spiritiche, per arrivare alla mediazione: usciamo dall’Aula. Forse. Tirando i dadi si fa prima.


Anche quando potrebbe vincere, come in Sardegna, il Pd è capace di scervellarsi, sul terzo mandato. Giorgia Meloni, che ha paura del risultato sardo, chiede al suo Balboni, il presidente della commissione Affari Costituzionali (si veste come un professore di filosofia dell’Università San Raffaele) di far votare già oggi questo sciagurato emendamento sul terzo mandato. Nel Pd si guardano intorno e si chiedono: “E ora, che si fa?”. Da lunedì, giorno della direzione Pd, per arrivare a una sintesi, sono mobilitati Francesco Boccia, Chiara Braga, l’esperto Giorgis (il capogruppo in Commissione Affari Costituzionali). Il Baruffi supervisiona. E’ stato istituito perfino un tavolo, una specie di subcommissione speciale, che però, tengono a precisare dal partito, non è un tavolo, ma solo uno spazio, una formula. Nel Pd fanno “tavoli”, parlano di “stampelle”. Sembra di stare in falegnameria. Fuori c’è il resto del mondo. Lungo la penisola tutti i sindaci del Pd, il più tenace Matteo Ricci di Pesaro, non fanno altro che suggerire, da giorni: “Facciamo politica, mettiamo Lega e FdI contro”. I riformisti del Pd, sarebbero per giocarsela e votare ma mettendo dei contrappesi, tipo più poteri agli assessori regionali. Alessandro Alfieri, senatore, responsabile Riforme e Pnrr in segreteria, che dell’ex ministro Lorenzo Guerini è compagno di riformismo, è in Israele e sarebbe dunque collegato perché nel Pd quantomeno il tormento va a 5g. Sul terzo mandato i parlamentari Pd sono spaccati, tra pro e contro, ma dato che non è una novità confidano nel perdono dei giornalisti. Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato della Lega, è come se avesse la valigetta nucleare. In Senato, in sala Garibaldi, mangia prima un pasticcino, poi chiede un bicchiere d’acqua, ci aggiunge il caffè, con un goccetto di Braulio. Un goccetto. A destra manca poco e si sfidano con le pistole di Pozzolo. Gli emendamenti della Lega sul terzo mandato sarebbero due, uno riguarda i governatori, l’altro i sindaci.

A metà pomeriggio la Lega lascia intendere che quello sui sindaci forse viene ritirato, ma quello sui governatori “no”. A sinistra, nel Pd, un trust di intelligenze studia la soluzione: “Servirebbe una proposta sfidante”. Una delle parole che piacciono tanto a Schlein, che, si ripete, è in Sardegna (la regione dei culurgiones, ravioli pienotti di tutto, un po’ come il Pd, grano duro, patate, menta, aglio, pecorino) è “sfidante”. Giuseppe Conte che è invece pratico, e che si trova alla Camera, raduna tre giornalisti e parla di una possibile vittoria della Sardegna, di scenari futuri, di alleanze postapocalittiche. Lui è già al secondo governo da premier cosa può importagli del  terzo mandato? Il M5s fa sapere che voterà contro, nel Pd dicono allora: “Se ci asteniamo il M5s farà la figura di chi si è opposto e noi?”. In Commissione, per il Pd, siedono Giorgis, che il terzo mandato non lo vuole; Marco Meloni,  è in Sardegna, per fare campagna elettorale, non ci sarà; Valente, che è napoletana, resta una rivale di De Luca; il quarto è Parrini che vorrebbe una riforma più pensata. Quando si parla di pensiero non può che arrivare in soccorso Boccia che (e siamo a metà pomeriggio) spiega: “La maggioranza va messa a nudo, nessuno di noi dovrà fare da stampella. Ci stiamo raccordando con le opposizioni”. Non si capisce se si sia raccordato con gli amministratori locali del Pd.

Da Mantova, il sindaco Mattia Palazzi, chiamato dal Foglio, dice: “Mi sembra che il Pd stia scegliendo di non scegliere. Il non voto equivale a non voler decidere, mi auspico in futuro un voto del Parlamento”. Quando in direzione Pd si è parlato di terzo mandato, Schlein, che è contrarissima (perché ci sarà una sua dichiarazione di non si sa quale anno) ha lasciato balenare l’idea che se si vota sì al terzo mandato, 15 anni, il Pd dovrebbe cominciare a ragionare sulle deroghe ai parlamentari, ai big, agli ex ministri, ex segretari. Sarebbe l’Apocalisse. Ancora un po’ e pure Franceschini saliva sul trattore. Stiamo chiudendo l’articolo consapevoli che è prevista un’ulteriore riunione del Pd, notturna per “sciogliere il nodo” Non si esclude che alla fine non si voti, che la Lega faccia il gesto estremo. I culurgiones?  Oltre alla tipografia anche i ristoranti dovevano chiudere. Quindi pane e acqua. Il Pd? Un partito di digiunatori. 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio