De Castro: "Il Pd ascolti di più gli agricoltori e meno gli ambientalisti da salotto"

Luciano Capone

"La sinistra vede nell'agricoltura un nemico dell'ambiente più che un alleato. Non possiamo lasciare le comunità rurali alla destra, Prodi l'aveva capito". L'eurodeputato dem promuove Lollobrigida ma nega un passaggio a destra: "Non potrei mai"

La sinistra delle Ztl è sempre più distante dal mondo dei trattori, tanto che gira voce che Paolo De Castro, europarlamentare del Pd ed ex ministro dell’Agricoltura in due governi di centrosinistra, possa candidarsi alle prossime europee con la destra. “È una voce priva di qualunque fondamento – dice De Castro al Foglio –, prima perché nessuno me l’ha proposto e poi perché, qualora me lo chiedessero, risponderei di no. Sono un vecchio prodiano. Posso essere in disaccordo con alcune linee del mio partito, ma sto lontano da altre sirene”.

Allora parliamo della linea del Pd: i progressisti hanno abbandonato i terreni agricoli. “Le proteste con i trattori hanno dato una sveglia alla sinistra. Con la segretaria Schlein abbiamo iniziato a parlare di innovazione e dialogo con il mondo agricolo. Come ha scritto Michele Serra su Repubblica, non dobbiamo fare l’errore di regalare il mondo rurale alla destra”

E’ possibile riannodare il dialogo con gli agricoltori? “Da questa necessità è nata l’idea dell’incontro che il Pd terrà con le organizzazioni agricole il 16 febbraio. Certamente il Pd di Elly è un partito con forti sensibilità ambientaliste, che però spesso hanno visto nell’agricoltura un nemico più che un possibile alleato. Ma è un problema di tutta la sinistra europea”.

De Castro è figlio di imprenditori agricoli, professore di Economia e politica agraria all’Università di Bologna, ministro dell’Agricoltura, presidente della Commissione agricoltura al Parlamento europeo... uno dei pià autorevoli e riconosciuti esperti sul tema. Cosa si è rotto tra la sinistra e la campagna? “È diventata dominante una narrazione distorta, che parla di continuamente di intensivo e grandi aziende che inquinano, quando in realtà questo è un mondo composto al 99 per cento da imprese familiari. Non siamo gli Stati Uniti, l’Australia o il Brasile. Da noi un’azienda ben strutturata ha 50-100 ettari di superficie e qualche centinaio di capi di bestiame. La superficie media, invece, è di 10 ettari. Il polo delle mele in Trentino è fatto da aziende da 2 ettari”. Il problema, semmai, è opposto: le aziende italiane sono troppo piccole. “Certo, e questo non obbliga a diventare più grandi, ma a entrare in un’ottica organizzativa. La singola azienda non ha speranza se non fa parte di un sistema”.

Alla base della rottura c’è, forse, anche un calcolo elettorale: il ceto urbano e ambientalista è più numeroso, gli agricoltori invece... “Sono solo il 2 per cento, un gruppo marginale e pure di destra, inutile perdere tempo! Questo modo di pensare è un grosso errore politico. In primo luogo perché l’agricoltura innesca una filiera che fa il 15 per cento del pil, ma soprattutto perché rappresenta una condivisione di valori che nelle comunità rurali ha un peso politico ben superiore”.

In effetti, sebbene i metodi siano simili, ad esempio i blocchi stradali, le proteste dei trattori hanno suscitato più solidarietà e comprensione rispetto a quelle degli attivisti per il clima. La sinistra può mettersi in connessione con questo mondo? “Potrebbe farlo facilmente, se ci fosse questa consapevolezza – prosegue De Castro –. Le elezioni le vinciamo se coinvolgiamo i territori rurali: Trump ha vinto tra i farmer dell’Iowa e del Texas. Vale anche da noi. Romano Prodi è un leader che non ha mai sottovalutato il peso delle comunità rurali. Io, da prodiano, riesco a prendere voti nelle aree interne del Veneto dove spopola la Lega e il Pd è più in difficoltà”.

Qual è la causa di questa distanza? “C’è ormai una narrazione, nella sinistra da Ztl e tra gli ambientalisti da salotto, che prescinde dalla realtà. Non si riconoscono neppure i progressi fatti. La chimica, ad esempio, è stata ridotta del 30 per cento”. Bisogna fare molto di più. “Ma non puoi imporre -50 per cento entro il 2030 se non costruisci insieme un programma di investimenti e innovazione, ad esempio attraverso la genomica non-Ogm e il precision farming. Altrimenti obiettivi e date sono solo slogan”.

Ha parlato di genomica non-Ogm, il Parlamento europeo ha appena votato sulle Ngt, le nuove biotecnologie che servono a rendere le piante più resistenti e abbattere l’uso di pesticidi. Ma il Pd si è spaccato: metà a favore e metà contro. “Alcune organizzazioni ambientaliste contrarie alle Ngt, perché sbagliando le accomunano agli Ogm, hanno influenzato i miei colleghi. Ma è un grosso errore, sono un’innovazione straordinaria”.

Il governo italiano con Lollobrigida come si è mosso? “Ora andiamo verso la campagna elettorale, ma non gli si possono imputare misure contro l’agricoltura. L’unica sbavatura è sullo sgravio Irpef che noi avevamo introdotto con Martina. Ma in generale ha manifestato sensibilità per il settore”.

Quindi è disposto o no a ricandidarsi per le europee con il Pd? “Sono interessato, pronto a fare la mia parte, ovviamente se è una scelta del partito quella di parlare al mondo dell’agricoltura, ma non mi metto a sgomitare”. Non è che se non c’è spazio nel campo largo se ne va ad arare nel campo di Meloni? “Non potrei mai per la mia storia, tornerei a fare il professore”. 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali