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l'analisi

Un passetto avanti sul premierato. Ma si può e deve fare meglio

Carlo Fusaro

Gli emendamenti al progetto di riforma costituzionale, compresi quelli di alcune opposizioni, hanno il pregio di aver migliorato il testo. Resta ambiguo l'aspetto cruciale del rapporto fiduciario

Sono stati presentati gli emendamenti al progetto costituzionale sul rafforzamento dell’esecutivo e in particolare del capo del governo. Ecco una prima valutazione a caldo.

 

In termini generali, è stato fatto un significativo passo avanti, ma il testo del governo si presenta ambiguo su un aspetto cruciale, quello della disciplina del rapporto fiduciario nel rinnovato sistema a legittimazione diretta del presidente del consiglio (per la maggioranza si tratta, come sappiamo tutti, di vera e propria elezione diretta).

 

Alcune opposizioni hanno presentato significativi emendamenti per migliorare o cambiare il testo: ciò si può dire degli emendamenti di Azione, di Italia Viva e – udite udite – dello stesso M5S (pur assai diversi: Azione mira a un vero e proprio sistema c.d. alla tedesca; Italia Viva al suo modello c.d. del “sindaco d’Italia”, contenuto nel proprio progetto AS 830; il M5S a rovesciare la proposta governativa). Duole dirlo: il Pd e il gruppuscolo di Alleanza Verdi e Sinistra, invece, hanno presentato rispettivamente 800 e 1000 emendamenti, a scopo ovviamente ostruzionistico. Lo stesso senatore Alfieri ha riconosciuto che gli emendamenti “qualificanti” del Pd (quelli veri) sono una decina: ma come ha segnalato Ceccanti darebbero vita a un modello alla tedesca meno coerente di quello che emerge sia dagli emendamenti di Azione sia da quelli del M5S. A quelli che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione.

 

In termini più specifici, i miglioramenti del testo governativo sono questi:

  • è stato introdotto il limite di mandato: di fatto non più di 10-12 anni (due mandati pieni oppure tre se i primi due sono durati meno di tre quarti del previsto, sette anni e mezzo);
  • si è attribuita al presidente del Consiglio non solo la nomina ma anche la revoca dei ministri (mantenendo la formula della proposta al presidente della Repubblica, che lascia a questi qualche margine: come l’esperienza insegna);
  • si è chiarito che le Camere si eleggono e si sciolgono contestualmente;
  • si è spostato verso il presidente del Consiglio, ma solo in parte (pur importante), il potere di scioglimento;
  • si sono riformulate in meglio (ma ancora non abbastanza) le disposizioni relative alla formula elettorale.

 

Cosa resta ancora da migliorare, sempre lasciando da parte la questione centrale e simbolica, delle modalità di legittimazione diretta (elezione o indicazione sulla scheda, per intenderci)? Lasciando da parte i problemi di drafting (su questo una battuta più avanti):

  • il riferimento, per la legge elettorale, al premio in seggi rischia di implicare, coniugato col riferimento alla rappresentatività, la preferenza per una formula proporzionale basata su liste: mentre in molti pensiamo che un sistema incentrato sui collegi uninominali sarebbe preferibile;
  • resta la previsione barocca (ma anche politicamente pericolosa) di una votazione di fiducia iniziale all’intero governo con tanto di reitera in caso di voto contrario: anche a dimenticare l’obiezione in base alla quale non ha senso un incarico e un voto iniziale per un premier eletto e che l’unico significato può esser quello di dare ai partiti della coalizione in Parlamento la possibilità di manifestare la loro insoddisfazione per i ministeri (non) ottenuti, ci si può immaginare la diminutio in termini di prestigio e di potere della presidente del Consiglio eletta, la cui prima compagine governativa sia stata bocciata e la seconda approvata obtorto collo (a scanso del previsto scioglimento in caso di seconda boccatura;
  • resta soggetta a interpretazioni ambigue la disciplina della sfiducia (vera e propria mozione di sfiducia, bocciatura della questione di fiducia posta dal governo, dimissioni date di propria iniziativa dalla presidente del Consiglio): infatti, secondo una certa interpretazione, mentre nel primo e nel terzo caso tutto è chiaro (in caso di sfiducia si sciolgono le Camere, in caso di dimissioni volontarie il pallino resta comunque in mano al presidente del Consiglio che può chiedere lo scioglimento o passare la mano), che succede se il governo pone la questione di fiducia e una Camera gliela boccia? Sembra di capire che potrebbe essere ammissibile un reincarico ma anche l’incarico ad altra personalità della stessa coalizione, destinata a risultare fortissima poiché dotata di fatto del potere di scioglimento senza alternative.

In realtà, diversamente da ciò che si è letto, se in 75 anni non è mai stata approvata alcuna mozione di sfiducia, anche le questioni di fiducia bocciate (con conseguente obbligo di dimissioni) sono state solo due (Prodi 1998 e 2008): casi del tutto eccezionali, comunque da non fomentare, pro futuro, con disposizioni costituzionali che suggeriscano l’incentivo sbagliato.

Resta infine aperta, e non è cosa da poco, la questione dei c.d. contrappesi al rafforzamento del binomio presidente del Consiglio/governo e alla composizione a maggioranza potenzialmente garantita delle Camere.

 

Parlavo di drafting da migliorare: mi riferisco in particolare alla formulazione del “nuovo” comma 8 art. 94, nel quale si legge che qualora il presidente del Consiglio dimissionario non chieda lo scioglimento e "nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire… l’incarico di formare il Governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare…". Anche se ciò che si vuol dire è palese, scritta così, resta l’impressione sgradevole che si possa incaricare… un defunto.

 

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