Accordo a metà

Intesa sul premierato. Ma spunta la “manina” di Calderoli

Gianluca De Rosa

La maggioranza presenta i suoi emendamenti, Meloni festeggia l'accordo, ma sul nodo anti-ribaltone FdI e Lega hanno due interpretazioni diverse. Le opposizioni ridono: "Il ministro li ha fregati ancora"

Accordati sul testo adesso il rischio è quello di dividersi sulle interpretazioni. Fdi, Lega e FI hanno trovato un’intesa sul disegno di legge costituzionale per l’introduzione del premierato. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni festeggia: “Se passerà la riforma saranno gli italiani che sceglieranno da chi farsi governare”.  Eppure l’arzigogolato testo che è uscito fuori dalla mediazione di maggioranza rischia di essere ancora oggetto di discussione perché i partiti lo interpretano in modo diverso, in particolare sulla cosiddetta norma anti-ribaltone che disciplina cosa accadrebbe in caso di dimissioni, sfiducia o dimissioni del premier in carica. “Roberto Calderoli li ha fregati un’altra volta”, sghignazzano quelli del Pd, con riferimento al ministro che si occupa del dossier per la Lega.

 

Gli emendamenti di maggioranza, a nome dell’intero governo, sono stati depositati ieri in commissione al Senato. I primi, sui quali già c’era l’accordo, rinviano il premio di maggioranza alla legge elettorale  e  impongono il limite dei due mandati per il premier. Un’intesa invece doveva ancora essere trovata sulla norma anti ribaltone. In una prima formulazione l’articolo prevedeva la possibilità per il Quirinale, per una sola volta, di nominare un altro premier in caso di caduta del primo, con il paradosso di rendere il secondo più forte di quello eletto. Riformulare la norma era una priorità di Meloni, che avrebbe voluto un meccanismo il più possibile simile al simul stabunt simul cadent, ovvero l’automatico scioglimento delle Camere in caso di caduta del premier. Lega e Forza Italia spingevano però per ridimensionare il potere di scioglimento da parte del premier, per non fornire al presidente  un’arma troppo forte nei confronti dei partiti. Il risultato è un testo piuttosto confuso. Si legge nella nuova formulazione: “In caso di revoca della fiducia al presidente del Consiglio eletto, mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere”. E ancora: “In caso di dimissioni volontarie del presidente del Consiglio eletto, questi può proporre lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone. Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento”.

 

La “manina di Calderoli” è stata notata dall’ex deputato di FI Peppino Calderisi: “La Lega – dice – si è garantita il ‘diritto di imboscata’”. La questione è tecnica ma dirimente. Il testo prevede con chiarezza il potere di scioglimento delle Camere in capo al premier in caso di mozione di sfiducia o di dimissioni volontarie. Ma cosa accade se invece il governo va sotto quando non passa un provvedimento sul quale l’esecutivo ha posto la questione di fiducia? Secondo Calderisi in quel caso le dimissioni del premier sono obbligate e non volontarie. Dunque il premier non può chiedere lo scioglimento delle Camere, aprendo la strada a un secondo premier, lasciando così ai partiti  un forte potere di ricatto. Proprio la distinzione tra “fiducia” e “sfiducia” era stata chiesta nel fine settimana  da Calderoli. Questo rischio  è condiviso,  anche dall’ex presidente del Senato e senatore di FdI Marcello Pera. “Bisogna ancora lavorare sul testo, così in caso di mancata fiducia, ad esempio sul Bilancio, il premier non può sciogliere le Camere”, diceva ieri. Ad amplificare la sensazione dello sgambetto è anche il silenzio dei parlamentari del Carroccio. Bocche cucitissime. Gli esponenti di FdI, invece, non ci stanno a fare la figura dei fessi. Il senatore Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, sostiene: “Non c’è nulla da capire, il testo è chiaro”.  Nelle chat interne di FdI gira la spiegazione della norma di “un noto costituzionalista” che dice, in sintesi, che anche in caso di mancata fiducia su un provvedimento il premier può chiedere  lo scioglimento delle Camere. 


Intanto, mentre lo scontro ermeneutico agita la maggioranza, un pezzo di opposizione si prepara all’ostruzionismo. Il Pd ha presentato 800 emendamenti (di cui 16 qualificanti che contengono le vere proposte del partito),  Avs ne ha presentati addirittura mille. Diversa la strategia di M5s, Azione e Italia viva che hanno presentato tra i dieci e i venti emendamenti.