(foto Ansa)

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Il CencElly di Zingaretti. Il cda della fondazione del Pd è una spartizione tra correnti: altro che spazio ai giovani

Luca Roberto

La Fondazione Demo, presieduta dall'ex segretario, si pone come obiettivo quello di "costruire nuovi modelli di sviluppo e dare alle giovani generazioni nuove speranze". Ma nella nomina del board hanno prevalso più le vecchie logiche di partito

Il Pd vorrebbe che fosse il posto in cui “indirizzare l’innovazione verso un futuro più giusto per le persone e per il pianeta”. Con una particolare propensione alle visioni originali, moderne, incarnate dalle nuove generazioni. Che si sa, con Elly Schlein sarebbero dovute essere il baricentro del nuovo partito. E infatti sul nuovo sito della fondazione del Pd campeggia non a caso una schermata con nove tra ragazzi e ragazze tutti belli sorridenti che avranno sì e no 25 anni. Solo che già dallo scorso luglio, e cioé da quando la segretaria ha nominato presidente di quest’organismo Nicola Zingaretti, ovvero colui che questa fondazione l’aveva creata quattro anni prima, s’è capito quale potesse essere la parabola. Non è che ci finiscono dentro tutti i vecchi arnesi delle correnti, si chiedeva qualche malpensante la scorsa estate. D’amblé, quando erano passati alcuni mesi dall’elezione al Nazareno, Schlein scelse di disfarsi di Gianni Cuperlo, che fino a quel momento aveva presieduto la fondazione. E chi decise d’incaricare del ruolo la segretaria se non l’ex presidente della Regione Lazio, uno dei suoi predecessori al Nazareno, che per puro caso era stato anche uno dei suoi primissimi sponsor alle primarie di qualche mese prima?

 

Della fondazione non s’è saputo più niente per mesi, da quel giorno di luglio in cui la segretaria, con accanto Zingaretti, annunciò che avrebbe cambiato nome. “Propongo che si chiami Fondazione Demo”. E in effetti è forse solo il cambio d’appellativo l’unica attività degna di rilevanza di quest’ente che in realtà non è ancora stato formalmente costituito come fondazione. E che però, per l’appunto, si propone di “costruire nuovi modelli di sviluppo e dare alle giovani generazioni nuove speranze”. Mica pizza e fichi.

 

Che questa “ventata d’aria fresca” avrebbe potuto scontrarsi con una serie di compromessi, un po’ con la stessa naturalezza con cui Schlein ha vinto affidandosi ai cacicchi pur dicendo che il suo Pd avrebbe avrebbe fatto a meno dei “capibastone”, lo si è capito da quando Zingaretti iniziò a descrivere quali personalità immaginava di voler coinvolgere. Giovani professionisti? Militanti di nuovo conio? Amministratori delle nuovissime generazioni? Macchè. “Chiamerò i big”. Perché “il pluralismo del Partito democratico è una ricchezza. Va messo al servizio di una ricerca comune e di un’identità più forte”, disse l’ex segretario. Per questo ha modellato il cda della fondazione affinchè tutte le varie correnti del Pd si sentissero rappresentate.

C’è il tesoriere del Pd Michele Fina, ex segretario dei dem abruzzesi, vicino all’ex Guardasigilli Andrea Orlando. C’è, in quota “schleiniani della prima ora”, la consigliera regionale del Lazio Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria Schlein e in predicato di diventare europarlamentare. Ci sono i capigruppo di Camera e Senato Chiara Braga e Francesco Boccia. La prima in rappresentanza dei franceschiniani. Il capodelegazione del Pd al Parlamento europeo Brando Benifei, in ragione di una richiesta di rottamazione del ceto dirigente che lo spinse fino all’iniziativa di Coraggio Pd, è stato inserito pure lui nel cda della fondazione, pur essendo stato tra i sostenitori della mozione di Stefano Bonaccini. Una concessione di stile.

E chi mancava infine in questo Cencelli della spartizione del potere intrapartitico? Ma chiaramente Base riformista, o come si chiami ora il gruppuscolo di riformisti che si muovono attorno a Lorenzo Guerini. E’ così che allora l’ultimo posto del cda è andato a Simona Malpezzi, che peraltro era stata tra le più critiche quando s’era saputo dell’allontanamento di Cuperlo.

Insomma quest’articolazione così impalpabile del Pd, questa fondazione non ancora fondazione che si propone di agganciarsi al treno delle pari organizzazioni europee, vorrebbe davvero essere una specie di pensatoio perché questo mondo così complesso venga affrontato con soluzioni e approcci contemporanei, con la capacità di pensare “out of the box”. Che poi Zingaretti, invece, scelga di affidarsi a chi sembra rappresentare un modo per cristallizare i rapporti di forza all’interno del Pd piuttosto che a emblemi di sperimentazione, è senz’altro un caso fortuito.

  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.