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l'editoriale del direttore

Meloni è diventata un incubo per i sovranisti italiani

Claudio Cerasa

Manda ministri a Davos, abbraccia Bill Gates, flirta con Ursula, non elogia Trump. Così la presidente del Consiglio sconfessa la vecchia Giorgia

Bilderberg o sovranismo? Lo spettacolo incredibile della nuova Giorgia Meloni che con grande disinvoltura trolla ogni giorno la vecchia Giorgia Meloni è uno degli aspetti più interessanti e più spassosi da seguire nella pazza traiettoria imboccata dal centrodestra di governo. Il modo in cui Meloni ogni giorno sconfessa Giorgia è uno show formidabile che offre sorrisi, genera ironie e alimenta speranze per il futuro. Ma mai probabilmente, a livello simbolico, si erano andati a sommare così tanti fatti nel giro di poche ore, tali da porre agli osservatori più maliziosi una domanda solo apparentemente provocatoria: Bilderberg o sovranismo?

I fatti sono quattro. Sono diversi l’uno dall’altro ma si tengono tutti in unico e formidabile abbraccio. Il primo si manifesta martedì, poche ore dopo la notizia della vittoria in Iowa di Trump: Matteo Salvini invia un bacino su Twitter a Donald, Meloni muta (nel 2019, Meloni diceva che il modello Trump “ci piacerebbe portarlo anche in Italia”).

Il secondo fatto si manifesta mercoledì, in Emilia-Romagna, dove Giorgia Meloni, ancora una volta, mostra di avere un’intesa speciale con Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione odiata da tutti i sovranisti d’Europa tranne appunto Meloni, che quatta quatta si prepara a fare a giugno quello che Giorgia mai avrebbe pensato di fare: votare il bis di Ursula, unendosi agli odiati socialisti e al detestato, almeno da Giorgia, partito di Macron. Sentite cosa diceva nel 2019 Giorgia: “Fdì è  l’unico partito italiano che ha annunciato in modo chiaro il proprio voto contrario alla candidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Non saremo complici di una riedizione dell’asse franco-tedesco, dell’Europa imbelle su immigrazione incontrollata e terrorismo, di un’Unione che mira a punire quelle nazioni che non si allineano ai diktat dei burocrati”.

Fatto numero tre: mercoledì, nel regno dell’odiato Soros, a Davos, che un tempo Giorgia definiva, con disprezzo, “il ghota mondialista”, Meloni ha spedito il suo ministro Giorgetti, per incontrare gli un tempo odiati hedge fund, gli un tempo detestati banchieri, gli un tempo disprezzati ministri arabi (“Se i patrioti non sconfiggeranno Davos sarà la fine della razza umana”, disse ad Atreju nel 2018 l’ospite d’onore Steve Bannon). Dal protezionismo, al mondialismo: una meraviglia.

Così come una meraviglia è stata la notizia confermata ieri in mattinata da Palazzo Chigi: il presidente del Consiglio, a sorpresa, ha ricevuto nientemeno che Bill Gates. Ovverosia, l’imprenditore filantropo che da anni è l’ossessione dei partiti complottisti (i repubblicani trumpiani) con cui Giorgia negli anni passati, prima di diventare Meloni, ha mostrato una certa dimestichezza (per QAnon, il movimento complottista che si riconosce nell’agenda Trump, sono morte più persone per i vaccini promossi da Bill Gates che per il Covid).

Certo, non sempre tutto va liscio, a volte Giorgia torna a farsi sentire e a ricordare a Meloni chi è che dovrebbe comandare, come è successo ieri a Bruxelles, dove FdI, insieme con la Lega, ha votato, senza essere influente, contro una risoluzione approvata dalla maggioranza del Parlamento europeo per porre fine all’abuso del diritto di veto e di ricatto di paesi come l’Ungheria colpevoli di “violazioni gravi e persistenti dei valori dell’Ue”. A volte Giorgia ritorna, certo, ma la buona notizia del 2024 è che il governo Meloni continua a fare passi nel mainstream europeo, provando a dimostrare ai suoi interlocutori che tra gli amici di Bilderberg e gli amici di Trump ha già scelto da che parte stare. Il partito della nazione, forse, può nascere partendo anche da qui. Meno Trump, più Ursula.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.