Raffele Fitto e Vincenzo De Luca - foto Ansa

Il caso

Lo scontro Fitto-De Luca è una questione di soldi, ma anche di poteri

Giorgio Santilli

Il ministro vuole cambiare la programmazione delle spese regionali, ridurne la frammentazione degli interventi per raccordarla al Next Gen Eu e alla spesa dei fondi europei. Una decisione che non piace al governatore della Campania, che minaccia di denunciarlo alla magistratura amministrativa

“Niente spesa corrente e cronoprogrammi finanziari e temporali precisi”. Così Raffaele Fitto descrive i due paletti che sta imponendo nella discussione con le regioni sui programmi finanziati con il Fondo sviluppo coesione (Fsc) 2021-2027. Una trattativa, spesso aspra, che ha per oggetto 25 miliardi ancora da assegnare. L’obiettivo è un vecchio pallino del ministro per gli Affari europei, il Pnrr e il sud, maturato prima da presidente della regione Puglia a inizio secolo, poi da ministro delle Regioni con Berlusconi premier dal 2008 al 2011: cambiare la programmazione regionale, ridurre la frammentazione degli interventi, raccordarla al Pnrr e alla spesa dei fondi europei. Nella trattativa, Fitto ha un’arma decisiva: le regioni non possono incassare i fondi senza il suo via libera, senza che siano sottoscritti “accordi per la coesione” tra Palazzo Chigi e singolo governatore.

Le intese governo-regioni firmate finora sono sei – Liguria, Lombardia, Veneto, Marche, Piemonte e Lazio – per un totale di 3,8 miliardi assegnati cui si aggiungeranno oggi i 588 milioni del piano dell’Emilia-Romagna con la firma del governatore Bonaccini. Nei prossimi trenta giorni, Fitto confida di poter firmare altri 6-7 accordi, comprese le prime regioni del sud cui spetta l’80 per cento del fondo. La Sicilia deve avere 6,6 miliardi, la Campania 6, la Puglia 4,3, la Calabria 2,2, la Sardegna 2,3, l’Abruzzo 1,2, la Basilicata 861 milioni, il Molise 407 milioni.

Dopo lo scontro Schifani-governo sul Ponte sullo Stretto di dicembre, a riportare ora sotto i riflettori della politica nazionale la battaglia del Fsc è l’attacco del governatore della Campania Vincenzo De Luca a Fitto, con tanto di minaccia di denunciarlo alla magistratura amministrativa, contabile e penale per aver tenuto bloccati i fondi al Mezzogiorno per un anno e mezzo. De Luca agita la battaglia giudiziaria ma la contrapposizione con Fitto è tutta politica. De Luca sa bene che a novembre il Parlamento ha approvato un decreto-legge che riforma radicalmente la politica di coesione e accentra nelle mani di Fitto poteri enormi. De Luca allude forse proprio a quella riforma che ha duramente contestato. Ora è Fitto che distribuisce le carte, dà le priorità, crea il raccordo con la programmazione delle risorse europee e con il Pnrr, monitora i vecchi piani Fsc recuperando le risorse dove non siano state spese, detta la linea al Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), firma gli accordi con le singole regioni. E i governatori, chi più chi meno, non ci stanno, provano a tirarsi fuori dall’angolo.

Il Fondo sviluppo coesione “regionale” conta su un quadro finanziario di 32,4 miliardi, pari al 60 per cento del Fsc 2021-2027 totale di 53,9 miliardi che comprende anche i fondi “nazionali”, destinati anche a sostenere i progetti comunali stralciati dal Pnrr. Interventi per 3,1 miliardi, approvati dal Parlamento dal 2020 a oggi, hanno via via ridotto le disponibilità “regionali” effettive del Fsc a 29,3 miliardi. Un altro esempio di finanziamenti a pioggia per mano di blitz in decreti-legge ed emendamenti alle leggi di Bilancio: microstanziamenti territoriali a servizio di obiettivi altisonanti, dal contrasto alla deindustrializzazione alla didattica digitale, dal dissesto idrogeologico alle infrastrutture sportive, alle energie rinnovabili; o anche obiettivi molto modesti (e magari più onesti) come il consolidamento delle farmacie rurali sussidiate o l’acquisto di autoclavi.

Interventi legislativi che si inseriscono perfettamente in una storia fatta di tassi di spesa bassissimi, polverizzazione, cassa che – a fronte delle cifre faraoniche – viene poi lesinata con il contagocce dal ministero dell’Economia. E protagonista della scena l’eterna tensione fra Roma e le capitali regionali, il braccio di ferro che parte sempre da regioni che chiedono di finanziare opere grandi, piccole, piccolissime e micro, svincoli e bretelle, ma non di rado anche spesa corrente, manifestazioni, ferie e sagre. E il governo, che parte da discorsi nobili, dice di voler raccordare questi fondi a una programmazione più strategica, europea e nazionale; ma non di rado ha usato, a sua volta, i fondi destinati alla coesione per finanziare progetti piccoli e grandi di rilevanza nazionale che non era riuscito a finanziare con il bilancio ordinario o con i fondi Ue. Va avanti così da venti anni, da quando, nel 2002, fu istituito il Fas, che a un certo punto era diventato sinonimo di bancomat, soprattutto per i ministri dell’Economia chiamati a far fronte a esigenze ed emergenze di ogni genere.

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