verso il voto

Schlein e la Linea Z per le Europee

Luciano Capone

Il Pd non indica un’asticella, ma arrivare sotto il 22,7 per cento raggiunto da Zingaretti nel 2019 (il peggior risultato storico alle europee) sarebbe una sconfitta che ridimensiona sia il ruolo partito sia il progetto politico della segretaria

A domanda esplicita sull’obiettivo del Pd alle elezioni europee Elly Schlein, comprensibilmente, non indica un numero. “Non mi pongo asticelle anche perché di solito porta sfiga” e “quello a cui punto è cercare di alzare l’asticella della partecipazione al voto” sono le formule con cui dribbla il quesito. Quando la stessa domanda viene fatta, a taccuino chiuso, a vari esponenti del Pd, vicini e lontani alla segretaria, la risposta è “tra Letta e Zingaretti”. Ovvero, tra il 19% delle ultime elezioni politiche del 2022 e il 22,7% delle europee del 2019. In sostanza, la soglia psicologica più importante da superare è quella del 20% e poi tutto ciò che viene in più è grasso che cola.

 

Per una leadership affermatasi per invertire la rotta degli ultimi anni, riavvicinare la sinistra alle masse popolari e portare nuove energie si tratta, però, di un obiettivo davvero minimale. Stare sotto la Linea Z, ovvero il risultato ottenuto da Zingaretti cinque anni fa, vuol dire ritenere soddisfacente abbassare l’asticella. Perché già il 22,7% del 2019 è stato il peggior risultato della storia del Pd alle elezioni europee: più basso non solo del famoso 40% di Renzi nel 2014, ma anche del 26% di Franceschini nel 2009, che a sua volta risultò in calo di 5 punti rispetto alla lista Uniti nell’Ulivo nel 2004. Ritenere comunque positivo un risultato inferiore al minimo storico, la Linea Z del 22,7%, da parte di gran parte della classe dirigente del Pd è indicativo di quanto si stiano riducendo le ambizioni di un partito nato con una “vocazione maggioritaria”. Ora persino la performance di Zingaretti, che non è esattamente ricordato come un trascinatore della sinistra, pare quasi una meta irraggiungibile.

 

Eppure le condizioni di partenza non sono molto differenti. Nicola Zingaretti prese il partito dopo la storica disfatta di Renzi nel 2018 (18,8%) e l’anno successivo arrivò alle europee con il Pd all’opposizione del governo Conte e in un contesto politico dominato da un leader di destra in ascesa come Matteo Salvini. Elly Schlein ha preso il Pd dopo una sconfitta alle politiche dura come quella del 2018 (Letta si fermò al 19%) e arriva alle europee dopo oltre un anno di opposizione al governo di destra di Giorgia Meloni. Perché a sinistra sono in pochi a pretendere, o quantomeno ad aspettarsi, da Schlein un risultato migliore o almeno pari a quello di Zingaretti?

 

Fissare l’asticella al 20%, ovvero al peggior risultato storico alle europee, vuol dire non solo riporre poca fiducia nella segretaria ma soprattutto nella funzione del Pd nel sistema politico italiano. Soprattutto considerando che alle europee, dove generalmente l’affluenza è più bassa e dove vota di più l’elettorato metropolitano ed europeista, il Pd dovrebbe essere avvantaggiato. Il 20% alle europee non vale molto di più del 19% alle politiche di Letta, che è stato giustamente accolto come una catastrofe epocale, tale da rimettere in discussione i valori fondanti e la storia di governo del Pd. Schlein è stata eletta perché ritenuta in grado di riconnettersi col popolo di sinistra, di recuperare gli astensionisti, di avvicinare l’elettorato giovane ed ecologista, di competere o comunque di arginare il M5s di Giuseppe Conte. Se dopo oltre un anno di segreteria il Pd starà ancora sotto la Linea Z, difficilmente si potrà dire che è sulla strada giusta.

 

È vero, come sostengono alcuni, che la strategia politica di Schlein non è semplicemente quella di aumentare i consensi ma anche di costruire una coalizione ampia a tre gambe, con M5s e centristi, di cui il Pd è il perno. E lo si vede dal modo con cui evita non solo di attaccare il M5s, ma anche di rispondere alle frecciate di Conte. Però anche questo progetto di medio termine dipende dal risultato delle europee: solo se Schlein riuscirà a mantenere un largo distacco sul M5s potrà tenere a bada le ambizioni di Conte, che punta al sorpasso, ed essere riconosciuta come federatrice della coalizione di centrosinistra. Abbassare l’asticella sotto la Linea Z forse basterà a salvare la segreteria, anche se non è detto, ma vuol dire per il Pd rinunciare al suo ruolo e per Schlein ridimensionare il suo progetto politico.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali