Meloni salvi il soldato Giorgetti

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

Si assume la responsabilità sul Patto di stabilità e si batte contro il debito e l'allucinazione del Superbonus. Il ministro parla come Schäuble ed è l'unico argine del Bilancio, ma dopo il Mes il dubbio è che per la premier conti meno di Borghi

Proprio nel giorno in cui Wolfgang Schäuble se n’è andato, le sue parole sembravano risuonare alla Camera dei deputati italiana, dove il ministro Giancarlo Giorgetti ha difeso la politica economica del governo. Giorgetti ha anzitutto inquadrato la situazione con parole di responsabilità: “Il problema non è l’austerità, ma la disciplina”. È in questo contesto che si calano la legge di Bilancio, il nuovo Patto di stabilità e la bocciatura del Mes. Giorgetti ha legato i tre dossier in una considerazione generale, tanto indubitabile quanto ignorata nel dibattito italiano: “La discussione è viziata dall’idea che c’è stata in questi quattro anni per la quale si potevano fare gli scostamenti e il deficit. L’Italia ha il debito al 140% del pil”.

 

Queste parole suonano come una risposta non solo alle accuse dell’opposizione, che chiede sempre più spese, ma anche della stessa maggioranza, che non fa che chiedere al ministro di venir meno ai suoi stessi impegni. Il caso più clamoroso è, ovviamente, quello del Superbonus: il Mef è ancora sotto forte pressione da parte di spezzoni della maggioranza – con Forza Italia in prima linea – desiderose di ulteriori deroghe e proroghe. Anche qui Giorgetti è stato chiaro: “Abbiamo dato il 110% di incentivo anche ai ricchi per rifarsi la casa al mare. Ora ci si lamenta perché si scende al 70%, ma nessun paese dell’Unione europea ha un incentivo del genere. Dobbiamo uscire da questa allucinazione per cui è tutto dovuto”.

 

Paradossalmente, è proprio perché negli scorsi anni si è approfittato sconsideratamente della sospensione del Patto di stabilità che si è potuto anche solo immaginare un bonus fiscale del genere. Ed è precisamente per effetto del Superbonus se oggi il governo ha le mani legate, sia nel senso che non ha spazio di manovra fiscale per affrontare il rallentamento dell’economia, sia nel senso che la nostra voce vale poco in Europa. Da destra a sinistra non si fa che lamentare l’assenza di una politica industriale. Ma cos’è, se non una politica industriale, la scelta di spendere 130 miliardi di euro per la ristrutturazione edilizia? L’esito di questa politica è che poche famiglie di fortunati hanno la casa nuova e la bolletta ridotta, mentre per tutti gli altri restano, letteralmente, le parole del nuovo presidente argentino Javier Milei: No hay plata, che forse Giorgetti tradurrebbe con gh’è minga dané.

 

Di fronte alle pressioni sul Superbonus, Giorgetti ha ribadito la sua contrarietà a difesa dei saldi di bilancio, ma ha lasciato aperto lo spiraglio del “mi rimetto al Parlamento”. Lo stesso argomento usato per giustificare la divaricazione con la maggioranza sul Mes. Questa natura bipolare del centrodestra è stata il sottinteso dell’intero dibattito parlamentare, aperto da una domanda di Luigi Marattin: “Chi è il vero ministro, lei o Claudio Borghi?” (il senatore no-euro leghista che rivendica di aver convinto Giorgia Meloni ad affossare il Mes, contro il parere di Giorgetti).

 

La domanda è fondamentale perché non riguarda tanto la persona ma la politica economica. Nessun avversario politico l’avrebbe posta, neppure provocatoriamente, a Schäuble. In questo caso non è così. Troppo spesso si ha la sensazione che Giorgetti venga lasciato solo a reggere una diga che tutti gli altri, ministri e leader di partito, sono invece impegnati a bucherellare. Tutto ciò va indubbiamente a merito di Giorgetti come individuo ma pone anche una questione a cui la stessa Meloni dovrebbe rispondere, perché indebolendo il suo ministro dell’Economia indebolisce sé stessa.