l'intervista

Calenda, il no al Mes e la “pericolosa e infantile revanche” del governo, "ostaggio" di Salvini

Marianna Rizzini

Il leader di Azione: "Penso che Meloni volesse ratificare il Mes, ma che il suo vicepremier sovranista e putinista, di fronte a questa prospettiva, e visti gli eventi del giorno prima sul Patto di Stabilità, abbia minacciato di far cadere il governo"

Due giorni, due scenari, e la situazione che (forse) qualcuno non si aspettava: mercoledì all’Ecofin prende forma l’accordo su Patto di Stabilità e migranti, con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che “parla per ultimo”, raccontano le cronache, e infine dice sì. E giovedì, in Italia, alla Camera, quando quel “parlare per ultimo” riceve una sua possibile spiegazione e al tempo stesso il suo contraccolpo: è il giorno della tanto attesa e a lungo negata ratifica del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, ma a un certo punto, dalla Commissione Bilancio, arriva lo stop, sotto forma di parere contrario. Stop seguito dal voto dell’Aula: la Camera respinge l’autorizzazione alla ratifica con 184 voti contrari, 72 voti favorevoli e 44 astenuti (il che vuol dire anche spaccatura nel governo, con FI appunto astenuta). Tra il mercoledì e il giovedì, dice il leader di Azione Carlo Calenda, c’è di mezzo “la sottomissione a un impianto di Patto di Stabilità a impronta tedesca, anche se il governo ha poi detto il contrario, guardando come al solito a un orizzonte temporale minimo, i pochi anni di un ciclo elettorale”. Da lì l’effetto-rimbalzo: “Penso che la premier Giorgia Meloni volesse ratificare il Mes, ma che il suo vicepremier sovranista e putinista e leader della Lega Matteo Salvini, di fronte a questa prospettiva, e visti gli eventi del giorno prima, abbia minacciato di far cadere il governo, motivo per cui abbiamo poi assistito alla scena della non ratifica parlamentare, una sorta di rivincita pericolosa e infantile. La verità è che il governo è stato bellamente fregato, e con nonchalance: hanno deciso tutto Francia e Germania, parlando dell’Italia come se si trattasse della Romania – della serie ‘ tanto l’Italia è d’accordo’, con tutto il rispetto per la Romania”.

 

Ne discende, dice Calenda, “una certezza”. Cioè? “Questi signori che sono al governo in Italia non sanno stare ai tavoli europei. Ne fossero stati capaci, avrebbero sostenuto la proposta della Commissione – che era migliore per il paese. Invece no: risultato insoddisfacente e reazione da bambini, tanto più che si capisce benissimo che questa è una pantomima e che finiranno per ratificarlo, il Mes, con una bella piroetta tra Natale e Capodanno, ripetendo quello che hanno detto finora: la proposta di legge per la ratifica del Mes è stata scritta male, bla bla bla. Buffonate”.

 

La profezia di Calenda sul salvataggio di fine anno del Mes non cancella l’amarezza: “Meloni è partita sulla linea Draghi, e avrebbe dovuto continuare a imitarlo. Mi viene in mente Gianni Agnelli quando mandava i suoi tecnici alla Ford, raccomandandosi di ‘copiare e basta’. Saper copiare è una virtù, spentasi però, nel caso di Meloni, per via della convivenza con il suddetto vicepremier sovranista e putinista”. Seconda profezia di Calenda: “Questo episodio segna a mio avviso l’inizio del declino per il governo. Solo che – seconda lezione della mancata ratifica– non esiste al momento un’alternativa nel campo largo, come si è visto in Aula, con lo show populista dei Cinque Stelle. Si comportano come la Lega, e questo è un portato del bipolarismo. Siamo partiti con Pd e Forza Italia, finiamo con un Pd infiacchito che insegue il M5s e una Forza Italia infiacchita che, nell’assenza di una leadership all’altezza, non riesce a opporsi alla deriva sovranista, invece di puntare responsabilmente su un modello di coalizione ‘alla Ursula’”. Cioè, dice Calenda, su un tipo di “maggioranza trasversale di forze repubblicane e liberali”.

 

Guai a dire “centristi”: “Io, con Azione, Più Europa e chi si riconosce nel progetto, guardo a persone di centrosinistra e di centrodestra che si riconoscano nei valori repubblicani e liberali e vogliano costruire un nucleo di partito liberal-democratico, come, tra gli altri, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, che hanno un passato in FI, e come me e Matteo Richetti, che proveniamo dal Pd. Non guardo a persone che si dicono di centro per opportunismo, capaci magari di votare di nascosto Ignazio La Russa per poter ottenere qualche nomina”. Sembra di intravedere una nota polemica, nella parole di Calenda. E infatti c’è: “Quel tipo di centro, a cui sembra pensare Renzi, non è il mio”. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.