L'europeismo non arriva a fine Mes

Luciano Capone

La bocciatura della ratifica di un trattato europeo è senza precedenti per l'Italia. Meloni, ostaggio dei suoi slogan, butta all’aria un processo di riforma e un pezzo della reputazione del paese, mettendo anche una pietra tombale sull'Unione bancaria

A memoria, anche quella di insigni studiosi consultati, non ci sono precedenti. La bocciatura alla Camera – con 184 voti contrari, 72 favorevoli e 44 astenuti – della ratifica della riforma del Mes è un unicum. Non si ricorda un altro caso, in Italia, di un voto parlamentare contrario alla ratifica di un trattato internazionale. Ci sono stati, ovviamente, molti casi di trattati non conclusi perché lasciati inabissare, ma non bocciati dal Parlamento. All’inizio degli anni Cinquanta ci fu il progetto della Comunità europea di difesa (Ced), fortemente voluta da Alcide De Gasperi. L’Italia rinviò la ratifica per ragioni tattiche di politica interna, aspettando la Francia. Quando l’Assemblea francese decise di non ratificare, il progetto della Ced fallì. Ma il Parlamento italiano non votò nulla.

 

Questo voto, sebbene la mancata riforma del Mes sia una battuta d’arresto molto meno rilevante del fallimento della difesa comune, è per certi versi più clamoroso. Proprio perché l’Italia, a differenza della Francia, non è mai stata d’ostacolo al processo d’integrazione europea. Anzi, ne è sempre stata tra i maggiori promotori. Come lo era stata in questo caso. Perché la revisione del Meccanismo europeo di stabilità parte da lontano, e anche per iniziativa italiana. Il punto centrale di questa riforma, il cosiddetto backstop, ovvero la rete di protezione in caso di crisi bancaria sistemica a supporto del Fondo di risoluzione unico, ha origine nel 2013 quando, proprio su spinta italiana, durante la crisi dei debiti sovrani in Europa ci si rese conto che bisognava avanzare sull’Unione bancaria. I passi, come spesso accade a Bruxelles, sono stati piccoli e lenti. Anni di trattative, di Eurogruppi ed Eurosummit, fatti da governi di vari colori che si sono alternati negli anni. Per arrivare, nel 2021, alla firma da parte di tutti i paesi dell’Eurozona e negli anni successivi alla ratifica da parte di 19 parlamenti nazionali su 20. L’Italia, con questo voto, manda all’aria un processo voluto da tutti e durato dieci anni.

 

Formalmente per Giorgia Meloni non si tratta di una sconfitta. Il suo governo non ha negoziato questa riforma del Mes e non ha neppure presentato la proposta di legge di ratifica, che è stata appunto di iniziativa parlamentare dell’opposizione e non dell’esecutivo, come generalmente accade per le leggi di ratifica. Anzi, Meloni può rivendicare di essere stata coerente con quanto professato nel decennio passato all’opposizione. E la maggioranza di centrodestra non si è neppure spaccata, nel senso che ha concordato il voto: Forza Italia ha optato per l’astensione, ma nessuna delle forze che sostengono il governo si è espressa a favore.

 

Nella sostanza politica, però, è un duro colpo per la credibilità del paese e del governo. Non ci fa una bella figura il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che mostra ai colleghi ministri europei di non riuscire a portare a conclusione una riforma che interessa tutta l’Eurozona e in Italia subisce un voto di rabbia della sua maggioranza che, più che contro il Mes, è indirizzato contro il nuovo Patto di stabilità che lui ha appena firmato. Ci fa una figura altrettanto magra Antonio Tajani, ministro degli Esteri, per giunta del Ppe, che mostra di essere leader di un partito che si astiene sulla ratifica di un trattato europeo. Ne esce indebolita la premier Meloni, che agli occhi dei partner europei si comporta come Orbán. Ma, soprattutto ne esce sconfitta l’Italia, che per anni non vedrà passi in avanti sull’Unione bancaria, spesso invocati dalla stessa Meloni, dopo aver bocciato il backstop del Mes, che di quell’Unione è uno dei pilastri.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali