(foto Ansa)

Il colloquio

“Costruire un negoziato in Ucraina”. Parla Crosetto

Claudio Cerasa

“La democrazia? La difenderemo: dal medio oriente fino a Kyiv. La comunità internazionale? Ora deve pensare a come ottenere con la politica ciò che non può ottenere con le armi. Patto di stabilità? Vittoria nostra”. Intervista al ministro della Difesa

Tre guerre, tre fronti, tre impegni. E tre promesse. La prima: “L’Italia farà sempre la sua parte a difesa della libertà”. La seconda: “Continueremo a difendere la democrazia tutte le volte che ce ne sarà bisogno”. La terza: “Faremo del nostro meglio affinché l’Onu smetta di essere una creatura esanime e inizi a essere finalmente una creatura attiva, che si riappropri del proprio ruolo, e che sia in grado di intervenire in modo risolutivo, senza paraocchi, nei due grandi conflitti mondiali: medio oriente e Ucraina”. 

Guido Crosetto ci riceve al primo piano del ministero della Difesa, in Via XX Settembre numero otto. Con un sorriso, dietro alla sua scrivania, ci mostra con il braccio allungato e l’indice disteso un corridoio: lì in fondo, dice, ci sono gli appartamenti del ministero, con tanto di cuochi, ma Crosetto, per rispondere a chi sostiene abbia voluto fare il furbo sulla casa, dice che ha scelto di non beneficiare di questo privilegio e dice di essersi limitato ad andare in un appartamento dove i lavori sono ancora in corso, dove inizierà a pagare l’affitto non appena i lavori a carico del locatore saranno finiti e dove vi è un proprietario dell’appartamento che – assicura Crosetto – non ha mai ricevuto favori dal ministro. Le promesse, si diceva. E poi le tre guerre, i tre fronti, i tre impegni. Il nuovo fronte, quello più recente, quello più minaccioso per gli interessi commerciali dell’Italia, e dell’Europa, è quello che riguarda la destabilizzazione del Mar Rosso, dove da settimane i mercantili in transito verso il canale di Suez vengono bersagliati dai guerriglieri yemeniti  degli houthi (filoiraniani, nemici di Israele, vicini alla causa di Hamas) che costringono da tempo le navi che arrivano dall’Asia a un percorso alternativo, più lungo, più dispendioso e più dannoso per la nostra economia (il tratto da Singapore a Rotterdam, il porto più grande d’Europa, comporta la navigazione di  8.440 miglia passando da Suez, 11.720 passando dal Capo di Buona Speranza, in Sudafrica). Su questo fronte, dice Crosetto, “l’Italia farà la sua parte per contrastare l’attività terroristica di destabilizzazione degli houthi e tutelare la prosperità del commercio garantendo la libertà di navigazione”.

 

Al momento, l’Italia, per sostenere l’intervento della comunità internazionale nell’area (dal canale di Suez arriva il 10 per cento del petrolio destinato all’Italia, oltre al gas liquido proveniente dal Qatar) ha anticipato l’invio di una fregata nel Mar Rosso inizialmente previsto per febbraio e ora stabilito per il 24 dicembre (la nave sarà in supporto all’operazione Atalanta, cui l’Italia già partecipa dal 2009). “Se questa missione dovesse diventare qualcosa di più grande, sarà necessario capire come inquadrarla giuridicamente e, nel caso vi dovesse essere una nuova operazione, sarà necessario anche valutare un passaggio parlamentare. Ma, al momento, non è in agenda, siamo all’interno delle regole di ingaggio della missione Atalanta. Ma posso dire che anche su questo fronte l’Italia farà tutta la sua parte per difendere gli interessi dell’alleanza internazionale. Sia quando si parla di houthi sia quando si parla di Iran”. Iran: da che punto di vista? “Il ruolo dell’Iran va chiarito. E’ impensabile credere che un paese che butta benzina sul fuoco laddove vi è una miccia possa continuare ad agire in modo indisturbato. Lo dico pensando al contesto mediorientale, al conflitto per procura con Israele, e lo dico pensando al contesto delle tensioni nel Mar Rosso. Se l’Iran dovesse continuare in questa direzione, come temo, se dovesse continuare ad avvelenare i pozzi della stabilità internazionale, sarà inevitabile chiedersi se non sia il caso di tagliarlo del tutto fuori dai rapporti internazionali, di metterlo nella condizione di non nuocere più di quanto già non succeda. Il come farlo si vedrà, ma intanto discutere se farlo credo sia un nostro dovere”. I cinici potrebbero dire: con il blocco del canale di Suez, la guerra in medio oriente rischia di mettere in pericolo la nostra economia. Per il nostro interesse nazionale non avrebbe senso lavorare per porre un limite al conflitto? “Capisco il ragionamento ma con i princìpi non negoziabili non si scherza e non si gioca. Non si può pensare di difendere l’economia dimenticandoci di cosa significhi difendere i princìpi democratici. E non si può barattare la difesa della libertà solo per difendere un interesse economico. L’Italia, in tutti i quadranti, farà tutto il necessario per difendere le regole della convivenza civile tra le nazioni, sapendo che non vi può essere a lungo termine nessuna difesa del nostro benessere se nel breve termine non si difende la libertà delle democrazie aggredite”.

 

Fino a quando la comunità internazionale sarà in grado di difendere una democrazia aggredita come quella Ucraina? “Meloni ha ragione. In Ucraina si stabilisce se il futuro sarà di pace o di guerra, se sarà basato sulle regole del diritto internazionale o sul caos. L’Italia, anche nel 2024, continuerà a inviare le armi necessarie all’Ucraina per difendersi e da parte sua sono certo che l’Europa continuerà ad approvare tutte le sanzioni necessarie per fronteggiare economicamente la Russia, anche se purtroppo non hanno avuto tutti gli effetti sperati. Dal punto di vista generale, credo però che sull’Ucraina vada fatto un discorso politico oltre che militare. Bisogna fare un discorso di realtà. In questi due anni di guerra, l’occidente non ha trasformato le sue economie in economie di guerra. Continuiamo a mettere in campo lo stesso numero di armamenti che avevamo prima della guerra e il loro numero non è infinito. Per i russi non è così. La Russia vive in un’economia di guerra e può rimpiazzare i suoi armamenti in modo molto più veloce rispetto a quanto possa farlo l’Ucraina. Non spetta a me dire se si tratta di una scelta giusta o sbagliata, quella fatta dalla comunità occidentale, quella di non aver fatto troppi passi per potenziare l’industria della Difesa, ma posso dire che è una scelta che è stata fatta. E alla luce di questa scelta bisogna osservare lo scenario che abbiamo di fronte a noi con oggettività e senza preconcetti. L’Ucraina finora ha fatto miracoli perché ha resistito e in pochi pensavano che ci sarebbe riuscita. La comunità internazionale però oggi ha il dovere di pensare se sia possibile ottenere attraverso la politica ciò che non è stato finora possibile ottenere fino in fondo attraverso le armi. Bisogna partire dallo stato attuale del fronte, rendersi conto di ciò che si è riconquistato, di ciò che si è mantenuto e di ciò che la controffensiva non riesce a riconquistare. Se si parte da questo presupposto, è chiaro che da una fase di conflitto militare sia necessario passare a una fase di negoziato politico. E il negoziato politico lo si costruisce così: non si può legittimare ciò che ha fatto la Russia ma bisogna cercare altri mezzi per ritornare allo stato che vi era prima dell’invasione”. Facile a dirsi. “Lo si può fare solo in un modo: coinvolgendo le organizzazioni multilaterali, come l’Onu. Il percorso dell’accettazione delle regole del diritto internazionale deve coinvolgere non solo l’Europa ma tutto il mondo”. L’Onu? Questa Onu? “Sì, questa Onu. So che è difficile ma credo sia necessario provare a fare un passo in questa direzione”. Con forze di interposizione tra Ucraina e Russia? “Anche. Penso a una presenza fisica dell’Onu, a un’assunzione di responsabilità. L’Onu, oggi, è bloccato dai veti incrociati che vi sono dentro il Consiglio di sicurezza: questo lo sappiamo. Ma resta l’unico luogo all’interno del quale si possono compensare crisi come questa. E anche quella tra Hamas e Israele”. L’Onu finora in medio oriente è però intervenuta solo per demonizzare Israele e per legittimare i suoi nemici. “So bene che è così. Ma non ci sono altre strade. L’Onu deve lavorare per rimuovere Hamas, deve lavorare con i paesi arabi per cercare una guida alternativa in grado di rappresentare i palestinesi, perché anche l’Anp non mi sembra nelle condizioni di poterlo fare. E nel lavorare verso quella direzione deve costruire un’alleanza anche con la Nato. Ho avuto recentemente un incontro con il segretario Guterres e ho dato la nostra disponibilità per andare in questa direzione”. Cosa può fare in questa fase l’Italia per stare contemporaneamente dalla parte di Israele e dalla parte dei palestinesi? “A Gaza, stiamo facendo il possibile per offrire il nostro aiuto. Abbiamo provato a costruire un ospedale da campo ma le condizioni di sicurezza ancora non ce lo consentono. Abbiamo collaborato con gli Emirati Arabi Uniti per dare un supporto logistico al trasferimento di mille bambini palestinesi. La comunità internazionale deve fare di tutto per far sentire la propria vicinanza non solo a Israele ma anche agli innocenti palestinesi utilizzati da Hamas come scudi umani”.

 

Costruire un dopo in Ucraina e in medio oriente significa dialogare anche con Putin e con Hamas? “Su Putin è difficile da dire. Su Hamas no. Mai. Su Hamas c’è la condanna della storia. E anche i paesi arabi hanno capito che sostenere un’organizzazione terroristica che ha usato le risorse che ha ricevuto dalla comunità internazionale per comprare armi e non per aiutare i palestinesi non porta da nessuna parte. A parole, tra i paesi arabi vi è chi sostiene Hamas. Con i fatti molto meno. E questo, anche per il dopo, è incoraggiante”. Il dopo, già. E’ credibile la stima fatta da alcuni osservatori su una durata del conflitto che verosimilmente non supererà le tre settimane? “Non sono in grado di fare previsioni. Faccio solo un ragionamento. Israele per quello che è successo aveva la necessità di dimostrare a tutti la sua capacità di deterrenza e la sua volontà ferrea di proteggere il paese. E’ il patto sociale di quello stato: proteggere il popolo ebraico. Posso dire che a mio avviso ciò che Israele poteva fare per catturare e combattere la parte attiva di Hamas è stata fatta. Ogni passo successivo rispetto a quella fase corre il rischio di diventare una carta offerta ai nemici di Israele”. Fino a oggi l’Italia, alle Nazioni Unite, non ha votato a favore del cessate il fuoco: deve farlo? “E’ una scelta che spetta al governo e alla premier. Noi siamo a favore di un cessate il fuoco ma l’Onu non può pensare di lavorare a un cessate il fuoco senza condannare Hamas, senza definirla esplicitamente un’organizzazione terroristica”. L’Onu però, in questi mesi, è andata in una direzione opposta a quella auspicata dal ministro. Fredda su Israele, timida sull’Ucraina. “Ne sono consapevole ma lavorare per coinvolgere l’Onu in queste partite significa, credo, essere consapevoli che il mondo sta cambiando. E che la teoria dei blocchi contrapposti, occidente contro resto del mondo, non può più funzionare”.

 

Che cosa intende? “Ne ho parlato all’ultimo vertice della Nato.  Noi non possiamo accettare questo fatto che ci siamo noi da una parte e i Brics dall’altra. Perché dobbiamo creare un solco tra nazioni di serie A e nazioni di serie B? La sicurezza non è più solo atlantica, passa per l’Indo-Pacifico. Capisco che questo, per qualcuno, significhi snaturare la Nato, ma dobbiamo cominciare a ragionare in modo diverso, costruire nuove alleanze, uscire dall’isolamento, perché la Nato deve sviluppare la capacità di affrontare le crisi, non solo di gestirle”. Rispetto a questi scenari futuri, la possibilità che vi sia un Donald Trump alla Casa Bianca costituisce un elemento ulteriore di disordine o la possibilità di costruire un nuovo ordine? Crosetto alza le sopracciglia e sorride. Ci riproviamo. Ministro, possiamo dire che questo governo, composto da diversi ministri che nel 2020 si facevano vedere in giro con i cappellini pro Trump, non tifa per nessuno alle presidenziali americane e ha lavorato bene con l’Amministrazione Biden? “Possiamo dirlo”. E possiamo dire che, proiettandoci nel 2024, è importante che l’Italia continui a mantenere ferma la sua rotta non solo dell’atlantismo ma anche dell’europeismo? “Possiamo dirlo”. E possiamo dire che dopo il 9 giugno l’Italia dovrà essere disposta a trovare soluzioni, diciamo, creative per poter contare in Europa quale che sia la maggioranza che nascerà a Bruxelles? “Possiamo dire anche questo. Possiamo dire che sarà importante avere un commissario italiano di peso. Possiamo dire che occorrerà fare tutto il possibile, anche utilizzando il massimo della creatività, per essere uniti, in Europa, per far contare di più nel mondo l’Unione europea e per dimostrare che nelle grandi partite che contano l’Europa ha una sua agenda, una sua forza, una sua autonomia”. C’è l’Europa nel futuro dell’Italia, dice Crosetto, nel giorno in cui l’Italia ha dato il suo ok al nuovo Patto di stabilità in Europa. E qui c’è la prima grande novità: “I risultati del Patto di stabilità sono per certi versi inaspettati, ma io ci lavoro da un anno. L’Ue accetta la linea dell’Italia e decide di tenere le spese della Difesa al di fuori dei parametri del Patto di stabilità. Vuol dire che il comparto Difesa e Sicurezza non entra più in contrasto con sanità, scuola, ambiente, come è giusto che sia. E’ una vittoria storica del governo”.

 

E c’è l’Europa nel nostro futuro anche quando si ragiona sull’economia. Per l’anno che verrà, è noto, Guido Crosetto è preoccupato dall’opposizione giudiziaria, è preoccupato dalla possibilità che, come successo in passato, “la presenza di una magistratura che non considera la terzietà come una priorità e che usa i propri poteri diffusi in modo discrezionale” possa creare cortocircuiti pericolosi con il governo. Ma rispetto all’anno che verrà il ministro Crosetto è preoccupato anche da un altro tema, da un altro fattore, da un altro fronte: quanto l’Italia riuscirà a concentrarsi sulle sue condizioni di competitività, quanto riuscirà a fare passi ulteriori per essere un paese attrattivo, quanto riuscirà a dimostrare di essere un paese non dominato dalla lentezza dei processi burocratici e dove può capitare, come purtroppo è capitato recentemente, che grandi multinazionali pronte a investire miliardi si debbano scontrare con meccanismi rigidi a livello comunale, regionale e nazionale al punto da rinviare a data da destinarsi i propri investimenti. “E’ successo, non posso fare nomi, ma è successo. Nel 2023, l’Italia, grazie al suo presidente del Consiglio, ha ottenuto risultati per molti inaspettati. Nel 2024, sono certo che il governo potrà ancora sorprendere in positivo. Fare la nostra parte quando si tratterà di difendere la democrazia. Faremo la nostra parte quando si tratterà di difendere la nostra economia e quando si tratterà a tutti i livelli di fare dell’Italia un posto su cui scommettere nel futuro”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.