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L'editoriale del direttore

Meloni e Schlein, in vista a Bruxelles il matrimonio politico più pazzo dell'anno

Claudio Cerasa

Si stuzzicano e litigano, ma Giorgia e Elly si capiscono e in qualche modo si piacciono. E su molte posizioni i loro partiti convergono. Alleanze europee e svolte moderate: i motivi di un accoppiamento giudizioso, per entrambe

Ad Atreju no, a Bruxelles sì. Non lo possono ammettere, ma sarà il connubio dell’anno. Non lo possono riconoscere, ma sarà l’incrocio più pazzo della politica. Non lo possono anticipare, ma sarà l’abbraccio più inaspettato delle prossime elezioni europee. Non lo possono ancora celebrare, perché i tempi non sono maturi, perché il lavoro per arrivarci è ancora lungo, ma il loro matrimonio non rientra più nella categoria del se, ma rientra ormai nella categoria del quando. E nel gioco delle coppie della politica italiana, la coppia più inaspettata che prenderà forma nei prossimi mesi sarà quella che nessuno ancora vuole vedere. Due donne, due leader, due storie diverse ma destinate ad avvicinarsi in modo inesorabile nonostante il tentativo reciproco di restare più lontane possibile. Sono loro. Sono Giorgia Meloni ed Elly Schlein. La storia che vi stiamo per raccontare non è una storia italiana, è una storia europea che però avrà riflessi inevitabili sulla politica italiana. E al centro di questa storia vi è un passaggio di fronte al quale si troveranno presto il capo del governo italiano e il principale leader dell’opposizione. 

Il rapporto tra Meloni e Schlein, già oggi, non è un rapporto caratterizzato da una manifestazione quotidiana di odio personale. Dall’opposizione, Schlein sa che demonizzare il presidente del Consiglio non è semplice, d’altronde un premier che cambia idea su tutto o quasi, avvicinandosi spesso sui grandi temi alle posizioni del Pd, è difficile da contrastare, più semplice accapigliarsi con alcuni ministri deludenti o alcuni parlamentari incompetenti. Dal governo, invece, Meloni sa, o almeno pensa di sapere, che avere all’opposizione una leadership non travolgente come quella di Elly Schlein, un’opposizione che continua a considerare l’antifascismo come la vera leva da usare per mettere a nudo i limiti della destra, potrebbe costituire un’assicurazione sulla vita della sua leadership (e in fondo, per Meloni, avere Schlein come leader dell’opposizione è utile anche per ricordare che i problemi dell’Italia sono in buona parte stati creati dalle vecchie leadership di governo del Pd: la stessa cosa che pensa e dice la leader del Pd). Dunque, sì. Meloni e Schlein si pizzicano, si stuzzicano, si provocano, ma allo stesso tempo si cercano, si scrutano, si capiscono e in un qualche modo si piacciono. Senza Meloni, probabilmente, Schlein non sarebbe lì dove è ora. Senza Schlein, probabilmente, Meloni non avrebbe un’opposizione così debole da garantirle giovinezza eterna. Dunque, maliziosamente, si capisce che mentre Matteo Salvini, leader della Lega, e Maurizio Landini, leader della Cgil, tentano in tutti i modi di legittimarsi come i veri poli non moderati della dialettica politica, dall’altra parte Meloni e Schlein tentino di fare lo stesso: i due poli del paese siamo noi, lottiamo, sì, ma rispettiamoci. E si capisce anche perché Meloni non si senta particolarmente in difficoltà a invitare la leader dell’opposizione, Elly Schlein, nella sua Atreju.

Le due si cercano, bisticciano, litigano, ma al fondo si capiscono e pur non potendo ammetterlo apertamente, su molte posizioni i loro partiti convergono (politica estera, attenzione ai conti, centralità del Pnrr). E per questo quando accadrà quello che tutti sanno e che già oggi intuiscono, lo scandalo, dal punto di visto della forma, sarà forte, ma non lo sarà dal punto di vista della sostanza, perché su moltissimi punti, da mesi, le posizioni di Meloni sono più vicine a quelle del Pd che a quelle della Lega. Pensate alle politiche migratorie: Salvini sogna ancora una nuova stagione dei porti chiusi, per sculacciare l’Europa, mentre Meloni cerca da mesi in tutti i modi di accordarsi con l’Europa per scongiurare il rischio di accodarsi al salvinismo sull’immigrazione. Pensate alla politica estera: sull’Ucraina la distanza che vi è tra FdI e il Pd è inferiore rispetto a quella che vi è tra FdI e Lega: la Lega vorrebbe ridurre le sanzioni nei confronti della Russia ma FdI e Pd per fortuna no. Pensate al rapporto con gli Stati Uniti: Salvini vorrebbe accodarsi al treno del trumpismo, Meloni in un anno e mezzo di governo ha nominato la parola “Trump” zero volte nei suoi discorsi ufficiali. E dunque, si dirà, cosa produrrà questa progressiva e sorprendente vicinanza tra Meloni e Schlein? Nulla, se si pensa all’Italia. Molto, se si pensa all’Europa. Ed è qui la chiave di tutto. Meloni ha deciso di spostare verso il centro il baricentro del suo partito (a volte le riesce, altre no) e in questa scelta un passaggio importante sarà quello che si manifesterà la prossima primavera quando il risultato delle elezioni (elezioni durante le quali Meloni e Schlein, come scritto dal nostro Simone Canettieri, potrebbero competere direttamente con i loro nomi sulla scheda elettorale) spingerà con ogni probabilità (ormai non lo nega più nemmeno Meloni, in privato) il partito guidato dalla premier a prendere atto di quello che è già evidente a livello nazionale: sui grandi temi, la posizione del centrodestra a trazione meloniana è più vicina al centrodestra europeo, al centro europeo e al centrosinistra europeo di quanto non lo sia alla destra euroscettica europea, compresa la Lega. E prendere atto di questo fatto significa una cosa semplice, di cui già abbiamo parlato. Significa prendere atto che la fantomatica cavalcata delle destre europee non esiste (in Spagna, la destra ha perso e Vox è crollata; in Polonia la destra meloniana non ha sfondato e ha perso lo scettro del governo) e capire che in un’Europa che verosimilmente verrà governata da una maggioranza non troppo diversa da quella attuale il partito di Meloni al governo ha solo un modo per non restare fuori dalle partite che contano in Europa: offrire i suoi voti a chi governerà, a prescindere da ciò che faranno il suo gruppo parlamentare europeo (Ecr) e i suoi alleati in Italia (Lega). E allearsi con una maggioranza simile a quella di oggi, per Meloni significa entrare nell’ottica di abbracciarsi in Europa, a Bruxelles, non solo con il partito del non amato Macron, non solo con il partito del mai amato Scholz ma anche con il partito più odiato dai suoi alleati di governo: il Pd di Elly Schlein. E’ una mossa forse inevitabile, forse inesorabile, forse ineluttabile, ma è una mossa che produrrà conseguenze all’interno del governo. Non scossoni, non divisioni, ma tensioni, irrequietezze e problemi sì. Ci saranno dopo, naturalmente, dopo la scelta, ma iniziano a esserci già oggi, con la scelta che esiste solo nelle intenzioni.

Le conseguenze ci saranno sulla campagna elettorale, con la Lega pronta a ricordare quando possibile quanto le politiche di Meloni tendano a essere simili a quelle del Pd. Ma ci saranno anche ad altri livelli. Sulle elezioni regionali che verranno, per esempio, con la Lega che punta sul governatore uscente Solinas nonostante la contrarietà di Fratelli d’Italia. Sulle elezioni che vi sono state, ancora, con Fratelli d’Italia che ha scelto di non sostenere il presidente della provincia di Trento, Maurizio Fugatti, anch’egli espressione della Lega, a causa di una sottorappresentazione di Fratelli d’Italia in giunta decisa dallo stesso Fugatti (FdI ha promesso il sostegno esterno). Sulle nomine in arrivo, per finire, con il partito di Giorgia Meloni che sembra disposto ad accelerare la partita delle nomine della prossima primavera, da Cdp alla Rai passando per Ferrovie, per anticipare i tempi dei rinnovi e tentare di ottenere, con queste nomine, ciò che non è riuscito a Meloni con le precedenti: premiare dei manager capaci di incarnare la discontinuità con i governi del passato, cosa non accaduta con la tornata di qualche mese fa (Poste, Enel, Eni, Terna).

Non lo possono ammettere, non lo possono celebrare, non lo possono anticipare ma l’avvicinamento scandaloso e progressivo di Meloni e Schlein sarà la notizia politica dei prossimi mesi e quella notizia sarà veicolo di due fatti importanti: costringerà Meloni a dare seguito politico alla sua svolta moderata e costringerà Schlein a occuparsi un po’ meno dei vizi dell’avversaria e un po’ più dei tabù dell’Italia. Ad Atreju no, a Bruxelles sì. A celebrare le nozze ci pensiamo noi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.