Ma non chiamatelo “Asse”

Il pragmatismo spinge Meloni a un accordo con Scholz

Simone Canettieri

La premier si rimangia le critiche del passato alla Germania. Spiragli pure sul patto di stabilità. Un calcione a Putin

Berlino, dal nostro inviato. “Sei stata così brava ed è andata così bene che perfino i tedeschi per una volta hanno capito tutto”.  C’è aria di gol in trasferta – o almeno di pareggio fuori casa – ascoltato in presa diretta come si rivolge Giancarlo Giorgetti a Giorgia Meloni. Siamo nello spogliatoio della delegazione italiana. Premier, ministri e staff ristretti  parlottano in uno spicchio della sala dove si sta per svolgere la plenaria intergovernativa. Sono entrati i fotografi, e non solo. Eccoci qua. Il ministro dell’Economia va seguito: è il secondo personaggio centrale, dopo la premier, qui a Berlino nella sede della cancelleria. Sempre Giorgetti prima di entrare in questa sala  aveva spiegato che i fatti sono fatti e che Scholz era stato chiaro. Un Giorgetti quasi euforico, dunque da collezione. Ministro è fatta per l’accordo sul Patto di stabilità? E lui, leghista sornione, risponde in tedesco. Si cercano traduttori che non sanno dare risposte: sarà una lingua teutonica-varesotta. Meglio ritornare dentro la sala dove tra poco Germania-Italia ceneranno e converseranno. Anche Antonio Tajani scherza con la premier. “È stata bravissima, è andata be-nis-si-mo”, ci sillaba Patrizia Scurti, potentissima super segretaria di Meloni. Ecco il clima è questo.

 

Poi ci sono due livelli. Quello in chiaro e dritto racconta di un ottimo rapporto tra Giorgia e Olaf, Meloni e Scholz. Complimenti reciproci e sorrisi. Il cancelliere tedesco parlerà di “progressi e passi avanti” sul Patto di stabilità con addirittura la confessione che non sta qui “per imporre, o meglio costringere, l’austerity agli altri paesi”.

 

Come sempre la faccenda è molto più complessa: Meloni qui non evoca più l’ipotesi veti, ma fa capire che la trattativa con Berlino per le nuove regole di bilancio è complicata, ma forse inizia a scollinare. L’otto dicembre ne parleranno i ministri dell’Economia all’Ecofin, ma poi la vera e ultima sintesi toccherà ai leader la settimana dopo al Consiglio europeo.

  

Tutto ruota intorno alla gestione del deficit: su questo aspetto la Germania tratta ma non troppo (al contrario dello spazio per gli investimenti). Berlino vorrebbe scendere in sette anni sotto il 3 per cento. È tutto ancora sospeso, ma tutto non è ancora perso. Anzi. L’idea che si arriverà a un accordo è palpabile. D’altronde mentre Meloni parlava con Scholz – “persona affidabile” – Giorgetti stava di nuovo a colloquio con il collega e omologo tedesco Christian Lindner, ultra liberale. 

 
Si parla di conti e numeri, non c’è nulla da fare, anche se l’occasione è un’altra e molto più tonda: la firma del Piano d’azione fra Italia e Germania. Un accordo bilaterale nato con il governo Draghi e portato avanti dall’attuale esecutivo. “È un fatto storico”, dirà la premier a più riprese.
       

In questo valzer, il cancelliere tedesco sembra aprire a un accordo, mentre la premier dà quasi l’impressione che ci sia ancora una salita: “Non possiamo accettare soluzioni che non saremo capaci di sostenere”, spiega ancora Meloni. Sono le diverse sfumature di chi recita parti diverse nella stessa commedia. Prima del vertice, Meloni e Scholz si sono collegati insieme alla videoconferenza dei leader del G20, alla quale ha partecipato anche Putin. Fianco a fianco. Stesso schermo, stessa stanza: “Penso che per Putin sia stata una occasione di visibilità politica”, ha osservato Meloni, sempre in conferenza stampa. Per arrivare alla pace, ha ribadito la premier, “basta banalmente che la Russia ritiri le proprie truppe dal territorio invaso. Non bisogna confondere la pace con l’invasione”, ha poi sottolineato Meloni. “Per la prima volta Putin ha partecipato on-line a una riunione del G20, gli ho chiesto che metta fine all’aggressione all’Ucraina in modo che finalmente la guerra finisca”, ha affermato Scholz.

 

Per quanto riguarda la crisi palestinese Meloni e Scholz hanno entrambi affermato che la soluzione non può che essere quella dei due Stati. Palazzo Chigi offre una versione molto aggressiva dell’intervento di Meloni durante il G20: Putin parla di un negoziato di pace possibile, intervengono gli altri leader, fra questi la premier italiana. La quale in maniera indiretta senza citarlo per nome nel suo intervento va comunque giù dura sull’invasione russa dell’Ucraina: per trovare la pace vanno ritirate le truppe di Mosca, occorre riconoscere la differenza fra invaso e invasore. Niente di nuovo se non fosse che la posizione italiana viene ascoltata direttamente da Putin. Anche su questo punto Italia e Germania, seppur da posizioni di forza differenti, hanno la stessa idea. Roma e Berlino ospiteranno le prossime conferenze per la ricostruzione dell’Ucraina.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.