(foto Ansa)

l'intervista

Il capo dei presidi: “Femminicidi? Un'ora di educazione sentimentale rischia di essere solo un palliativo”

Luca Roberto

Parla Antonello Giannelli: "La scuola può dare una grande mano contro queste derive. Serve un grande ripensamento generale. Ma non può risolvere il problema da sola"

"L’educazione sentimentale nelle scuole? E’ una proposta che a livello generale condivido, però nel dettaglio è ancora tutta da vedere. Capisco l’urgenza di voler dare delle risposte all’opinione pubblica sull’onda dell’emotività. Ma la soluzione non può essere un’ora di lezione a settimana, sperando che i problemi si risolvano così. Sarebbe solo un palliativo”. Il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli risponde così in merito al dibattito innescato dall’uccisione di Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato. In Parlamento arriva oggi un nuovo ddl che punta a un’ulteriore stretta sul Codice rosso anti violenza di genere. A latere del disegno di legge si lavora a un coinvolgimento delle scuole perché si porti avanti una massiccia operazione educativa, di natura preventiva. “Il punto di partenza è rispondere a una domanda: cosa vuole essere la scuola oggi? Quella che fornisce unicamente nozioni, sul modello gentiliniano di cent’anni fa? O vuole invece educare i ragazzi all’inserimento nella società e al rapporto con gli altri, cosa che le famiglie riescono a fare sempre meno?”, dice Giannelli. Per questo i presidi non sono contrari a un ruolo più direttamente operativo della scuola. “Eppure servirebbe uno stravolgimento più ampio del concetto di scuola tradizionalmente intesa, perché altrimenti serve a poco”, dice ancora al Foglio il capo della categoria.

 

Come detto, un’idea precisa di come i programmi didattici dovrebbero rispondere all’esigenza di educare i ragazzi dal punto di vista relazionale ancora non c’è. Eppure Giannelli delle proposte ce le ha già: “Non sono molto convinto che servano delle lezioni saltuarie, un’ora a settimana, istituendo una nuova materia. Se ci pensiamo, molta della nostra didattica ha già gli attrezzi  per provare a fare un lavoro educativo. La scuola dal mio punto di vista non deve limitarsi a insegnare chi era Alessandro Manzoni. Deve dare gli strumenti per capire il mondo, le relazioni con l’altro, ad esempio attraverso i Promessi sposi”. Per questo, forse, servirà prendersi un po’ più di tempo per ragionare. In più si porrà anche un tema più pratico all’interno della comunità scolastica, perché anche dal punto di vista delle risorse, degli organici, puntare a un ruolo centrale della scuola potrebbe essere un aggravio per tutto il sistema. “Se però si stabilisce che la scuola deve avere un approccio più trasversale, facendo passare un messaggio non solo in lezioni specifiche ma nella generalità dell’offerta formativa, allora il problema del personale aggiuntivo nonsi pone. Quello che serve, piuttosto, è un aggiornamento costante e capillare del nostro personale docente, fatto per bene”.

 

A ogni modo, anche qualora il sistema scolastico riesca a trovare una chiave per approcciarsi alla questione, non ci possiamo aspettare miracoli dall’oggi al domani. “Io non credo che un corso di educazione affettiva avrebbe avuto un qualche ruolo nella tragedia cui abbiamo assistito negli ultimi giorni. Lì sono intervenuti anche altri ordini di problemi, disfunzioni. E di certo, non è quello il contesto più deprivato. Di sicuro, non possiamo pensare di poter risolvere le cose a breve termine. Per raccogliere i primi frutti serviranno almeno 10-20 anni”. Gli occhi, insomma, sono tutti puntati sul ruolo che avranno i professori da qui ai mesi a venire: “Aspettiamo di vedere le misure nel concreto”, confessa ancora Giannelli. “La scuola è disposta a fare la sua parte. Possiamo dare una grande mano. Ma di certo non possiamo essere l’unica soluzione a un problema così  grande”.