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L'editoriale del direttore

L'omicidio di Giulia Cecchettin e i deliri della politica 

Claudio Cerasa

Perché difendere il modello occidentale è l’unico modo per non chiudere gli occhi sul dramma dei femminicidi 

Un paese che si emoziona, che si commuove e che si indigna per la morte di una donna è un paese che dimostra di avere buoni anticorpi per non voltarsi dall’altra parte di fronte a una parola che è ormai entrata tragicamente a far parte del nostro vocabolario quotidiano: femminicidio. Un paese che di fronte alla storia di Giulia Cecchettin chiede che vi sia maggiore attenzione nei confronti delle donne e intransigenza nei confronti di chi commette reati contro di loro è un paese che mostra di avere buoni anticorpi per combattere la cultura dell’indifferenza, della minimizzazione e dell’indolenza. Ma un paese desideroso di affrontare alla radice un tema così importante e delicato dovrebbe avere la forza e il coraggio di guardare alla realtà per quella che è e non per quella che appare. E se si ha il coraggio di passare dall’Italia della percezione a quella della realtà si capirà facilmente che una delle ragioni per cui l’opinione pubblica italiana è straordinariamente sensibile al tema dei femminicidi ha che fare con una caratteristica spesso dimenticata del nostro paese: la capacità di essere un’avanguardia nella lotta agli omicidi contro le donne.

Su questi temi, le antenne degli italiani, e anche quelle della politica, sono sintonizzate non perché hanno tutti qualcosa da farsi perdonare ma perché tutti sanno quanto sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema sia il modo più efficace per provare a dire “mai più”. Certo, in queste ore qualcuno è riuscito nell’impresa di salire sull’onda delle emozioni per dimostrare ancora una volta quello che capita di fronte a ogni caso che cattura l’attenzione del pubblico: la destra come sempre prova a dire che la sinistra specula sulle vittime, la sinistra come sempre prova a dimostrare che la vittima paga un clima creato dalla destra. Ridicoli di qua, ridicoli di là. Il punto però è che quando si parla di femminicidi contestualizzare non significa minimizzare ma significa ricordare una questione che dovrebbe essere evidente a tutti e che invece non lo è. E nel caso specifico dire che la responsabilità degli omicidi di donne è da attribuire alla “cultura del patriarcato” (copyright Elly Schlein) significa non voler riconoscere che il modello di libertà occidentale ed europeo è quanto di meglio il mondo possa offrire quando si parla di diritti delle donne.

Un anno fa, l’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) ha presentato alcuni dati per inquadrare il fenomeno. L’Unodc ammette che il femminicidio è un problema mondiale  ma riconosce che il femminicidio non è un’emergenza europea e non è un’emergenza italiana. Nel 2021, scrive l’Onu, sono state uccise 81.100 persone tra donne e ragazze (un numero di omicidi rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi dieci anni). Il problema è enorme ma l’Europa, scrive l’Onu, è uno dei pochi continenti in cui in questi anni il problema è stato maneggiato e governato. Tra il 2010 e il 2021, l’Europa ha assistito a una riduzione media del numero di omicidi femminili legati a partner/famigliari (-19 per cento). E il tasso di omicidi femminili legato al partner o alla famiglia è, ogni 100 mila abitanti, 1,1 per cento nel mondo. In Africa, è del 2,5. In America è dell’1,4. In Oceania è dell’1,2. In Asia è dello 0,8. In Europa è dello 0,6. In Italia è dello 0,38. Il secondo tasso più basso dopo il Lussemburgo (0,32). Uno dei tassi più bassi del mondo. L’occidente, con i suoi difetti, va stimolato a migliorare e finché ci sarà anche solo una donna uccisa da un uomo non si potrà non chiedersi cosa una società avrebbe potuto fare di più per evitarlo. Ma l’occidente, Europa compresa, Italia compresa, piuttosto che autodenigrarsi a ogni occasione dovrebbe fare di tutto per ricordare che il modello occidentale è un modello da difendere e da esportare, anche in quei paesi, come quelli dominati dalla sharia, per esempio, dove la violenza sulle donne non è un problema perché semplicemente è stata istituzionalizzata. Occuparsi meno della percezione e più della realtà. Per provare a dire “mai più” bisogna partire anche da qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.