LaPresse

Il caso

Colombo, Scurati, Merlo: perché a Rep. c'è chi si incazza

Maurizio Crippa

Nell’ora più buia di una sinistra che sbanda a Gaza, si butta il vecchio ciarpame ideologico. Oltre Zerocalcare

Presentat’arm al generale Maurizio Molinari, che nell’ora più buia non solo per Israele ma anche per molta sinistra, da sempre il bacino ideale di Repubblica, che sta sbandando pericolosamente a Gaza tiene la barra dritta con il piglio di chi non ha più tempo da perdere. A costo di sfidare i borborigmi muti di una redazione non così entusiasta di farsi aviotrasportare. E applausi al magnifico spettacolo di un giornale – la sua vecchia e anche nuova guardia – che nell’ora più buia apre i bauli e ha il coraggio di scegliere cosa è adatto ai tempi e cosa invece è ciarpame senza pudore (cit.) da buttare. Ieri lo ha fatto Francesco Merlo.Gran penna e cultura come non ne fanno più, Merlo, e gli irritati commenti sfoderati come bandiere a segnare il territorio da alcuni colleghi del quotidiano e dalle truppe di complemento (“Quello che sta facendo Repubblica è grave e pericoloso, soprattutto per Israele”, Selvaggia Lucarelli), certificano che ha centrato il tunnel. Luigi Manconi si era chiesto, sul quotidiano: “È possibile disertare?”, intendendo “sottrarsi alla logica bellica degli opposti schieramenti”. Ieri Merlo ha fucilato fin dal titolo i disertori (“Quei fumettisti disertori di Lucca Comics”),  ma certo non ce l’aveva con Manconi: è che il tempo da perdere è finito. Giorni fa Molinari è stato spietato e rapido, in un talk, con Carmen Lasorella che cavillava sulle decapitazioni sì o no di Hamas: “Dobbiamo a una collega il massimo rispetto. Ma il tentativo che abbiamo ascoltato da parte sua di minimizzare i crimini commessi da Hamas è molto grave. Io voglio dare a lei l’opportunità di correggersi e di scusarsi. Prego, Carmen”. Non è a lui che Manconi alludeva, parlando “di quei giornalisti italiani, aspiranti caporal maggiore dello Shin Bet”. È solo che il tempo per le ambiguità è scaduto. 


È evidente che non piaccia a tutti, in pancia e nei dintorni del giornale che ha sempre interpretato, oltre alle virtù, anche i vizi della sinistra geopolitica. Merlo a palle incatenate ha fatto saltare il tappo del dissenso, ma il bersaglio è più ampio, è quella parte del giornale che dopo il 7 ottobre ha provato a guardare oltre i vecchi schemi, oltre i né-né e i ma anche. Furio Colombo ha picchiato duro contro la sinistra che si è scelta “il nemico sionista”. Ha raccontato di quando, già lustri fa, denunciava l’abbandono di Israele da parte di una sinistra “furiosa” e che esprimeva contro lo stato nato dopo la Shoah un odio degno dei vecchi fascismi. Poi il gran pezzo-manifesto contro “l’avanguardia settaria” di Antonio Scurati: “Talvolta gli oppressi divengono oppressori. Non mi riferisco qui ai figli delle vittime della Shoah che opprimono il popolo palestinese. Mi riferisco, invece, ai figli del privilegio americano che odiano attivamente i cittadini di Israele”. Scurati fa a pezzi miti e tic linguistici di quella che chiama “cancel culture”. E il nocciolo duro: “L’antisemitismo mascherato da antisionismo – cartina di tornasole di ogni falsa coscienza occidentale – di parte della élite studentesca statunitense rivela la natura aggressiva, illiberale e oscurantista della sinistra radicale movimentista americana”. E con questo, ecco sistemati un bel po’ dei temi da sinistra radicale vezzeggiati da due generazioni di giornalisti e lettori di Repubblica. Poi ieri è arrivato Merlo: “Aveva pensato, Zerocalcare, che non andare a Lucca sarebbe stato come andarci due volte”, il comincio. Lucca Comics è come il Vinitaly di Verona, è il supermercato del fumetto, dice. E tra molte cose buone, c’è anche “la ‘gourmanderie’ ideologica dove, fumante di collera, Zerocalcare neppure si rende conto di somigliare a Hamas e gli pare una gran figata buttare i suoi razzi di fumo-fumetto su Israele, così si decora la coscienza e si sente come le pantere nere alle Olimpiadi del 1968”. Da come s’è scatenata la parte che si è sentita offesa, ha colpito nel segno. Tra i primi Matteo Pucciarelli, che è nel cdr: “Lavoro a @repubblica dal 2012 e voglio bene al giornale. Proprio per questo sento l’esigenza, a titolo personale, di prendere pubblicamente le distanze da argomentazioni che offendono @zerocalcare e non solo, deformandone e irridendone idee e valori”. Poi altri colleghi (“Condivido con @il_pucciarelli lo stesso amore per il nostro giornale e lo stesso disagio per argomentazioni che nulla c’entrano con le idee e le biografie di @zerocalcare, Murgia e altri”). Una fronda non estesa ma inconsueta, perché stavolta non sono a tema i lanzichenecchi di Elkann Sr. ma il core business culturale del giornale. Peggio le truppe di complemento moleste sui social: “L’infamante articolo di Merlo, il braccio armato di Molinari, è tutto quello che so sul giornalismo democratico”. Giusto per suggerire il clima.


Ma, per la pena del contrappasso, Zerocalcare viene usato a sua volta come un disegnino, un fumetto. Si difende lui perché si voleva attaccare Molinari, il realismo militare delle pagine di esteri e di analisi, i “senza ma” di critiche pubblicate che inchiodano la sinistra alle sue vecchie ipocrisie sulla natura di Hamas, la natura dello scontro globale, i paurosi riflessi antisemiti che gettano lampi in tutto il mondo. Allora onore a chi sta provando a fare pulizia nei vecchi bauli e armamentari ideologici, questo è il rango che pertiene a un giornale-ammiraglia. Non è Zerocalcare il punto, ma questo: “Con il Medioriente in fiamme, le pietre di inciampo bruciate nelle strade di Roma, le stelle gialle disegnate a Parigi sui muri delle case, la caccia all’ebreo in aeroporto, il massacro del 7 ottobre – dice Merlo – oggi dobbiamo confessare che un po’ di colpa della stringente logica aristotelica di Fumettibrutti e di Zerocalcare ce l’abbiamo noi che abbiamo stretto con questo ‘pensiero’ un legame di complicità, un legame intellettuale, fatto di ideologia e di politica, che adesso ci preme sulla coscienza come un peso misterioso”. E visto che il baule è da ribaltare: “Siamo in parte responsabili della promozione a pensatori (di sinistra) di tanti tipi buffi” che hanno “la presunzione di prendere su di sé le sorti di Gaza, del popolo palestinese, di Israele e della Cisgiordania e, sbattendo il mappamondo, anche dei curdi, del Tibet, della Cina, del Dalai Lama e della libertà dei popoli”. Conclude, feroce: “Già Vitaliano Brancati raccontava dei consigli comunali italiani che votavano mozioni su Cuba e il Vietnam: non atti politici ma happening dove ‘ogni cretino è pieno di idee’”. Stavolta la sua guerra politica e culturale Rep. non la fa contro i soliti nemici reali o immaginari, ma contro i suoi ingombranti fantasmi.
 

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"