Il caso

Piano Mattei, Pnrr, migranti e alluvione: così Meloni concentra tutto su di sé

Simone Canettieri

La premier continua a collezionare dossier a Palazzo Chigi, i ministri sbuffano. Domani la governance per il progetto energetico per l'Africa: la guida a un diplomatico

Prima della governance, al “Piano Mattei” servirà un buon filtro al centralino di Palazzo Chigi. Per evitare insomma altre enormi bucce di banana dopo quella in cui è incappata la premier parlando con il sedicente presidente della Commissione dell’unione africana proprio del progetto che ha molto a cuore. Una volta risolto questo problema (si spera) anche il piano energetico rivolto all’Africa finirà sotto l’egida della presidenza del Consiglio. Domani il Cdm decreterà l’intelaiatura della struttura. Si sa che sarà creata una nuova unità di missione a Palazzo Chigi e che ci sarà un comitato molto burocratico con tantissimi soggetti coinvolti: ministeri, regioni, università, terzo settore. A guidare   la scatola magica (per ora vuota) “Piano Mattei” sarà un diplomatico, categoria che in queste ore risponde con difficoltà al telefono. Così Meloni continua ad accentrare tutto su di sé. La lista dei dossier inizia a essere lunga. Forse troppo. 


Travolta dalla scarsa fiducia verso gli altri ministeri, la premier continua a dire “ci penso io”. Nel caso del “Piano Mattei” chi sembra uscire esautorata è la Farnesina a cui di fatto viene tolta la cooperazione internazionale, piatto forte del ministero degli Esteri. Antonio Tajani, che ha preso la decisione non proprio con felicità, potrà essere delegato al progetto in seconda battuta. Ma tutto rimarrà a Palazzo Chigi, come sempre. Per la guida della governance si pensa a due nomi (anche se il caso dello scherzo telefonico russo sta cambiando gli scenari e le sorti delle feluche italiane): si parla dell’ambasciatore  in Addis Abeba Agostino Palese o di Luca Ferrari, attualmente consigliere diplomatico del governo con la delega al G7 (e questo lo mette fuori dai giochi vista la prossima presidenza italiana). La  Farnesina non l’ha presa bene, ma ormai è così che tira l’aria.

Lo hanno capito anche qualche settimana fa al ministero dell’Interno quando la premier ha deciso di riunire la cabina di regia sull’immigrazione e gli sbarchi nelle sue stanze, non più al Viminale. Un modo anche qui per centralizzare il più possibile un altro argomento a lei caro e per il quale non riesce, nonostante gli sforzi, a dare seguito alle notevoli promesse della campagna elettorale. Stesso discorso è avvenuto con la convocazione del tavolo permanente in materia di terrorismo. Se queste possono essere pratiche da prassi davanti alle emergenze, di diversa natura fu la scelta di Meloni, appena sbarcata a Palazzo Chigi, di spostare il Pnrr (e cioè la partita dei fondi europei) dal ministero dell’Economia a un dipartimento della presidenza. Con un evidente difficoltà iniziale nel mettere su, ex novo, una struttura all’altezza di un compito così complesso e delicato che infatti veniva gestita dai tecnici della struttura di Via XX Settembre, che teoricamente si occuperebbero proprio di queste fattispecie. La mania di controllo e la ricerca di uomini all’altezza e fidati  ha portato anche la premier a gestire in prima persona il dossier alluvione in Emilia-Romagna nominando come commissario il generale Francesco Paolo Figliuolo. Il quale nella vita farebbe anche un secondo lavoro visto che ieri veniva intervistato in Libano in qualità di capo del comando operativo di vertice interforze (Covi) dello stato maggiore della difesa (in un momento non proprio facile per i nostri militari che si trovano in medio oriente). In questo caso la scelta di sottrarre il capo del Covi alla sua attività primaria non venne apprezzata dal ministro Guido Crosetto, da sempre preoccupato dall’instabilità di quei territori, ma a nulla servirono le rimostranze del cofondatore di Fratelli d’Italia. Chi conosce la premier sa quanto poco si fidi in generale delle enormi ramificazioni della macchina burocratica ministeriale e così nel dubbio quando “ci mette la faccia” lo fa fino in fondo. “Ci penso io”. E’ successo anche con l’impegno preso per Caivano, la periferia d’Italia, affidata a un commissario, Fabio Ciciliano, con la regia del sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano.  L’ex magistrato e il collega Giovanbattista Fazzolari sono i terminali di tutti i dossier che si affastellano sulla scrivania della premier. Nel caso del Pnrr c’è invece Raffaele Fitto, super ministro di provata fiducia e di lei ombra in tutti (o quasi) i consessi  internazionali. Per gli altri ministri sembra esserci poco spazio di manovra, specie per i vicepremier. Appena il gioco si fa duro, esce la nota di Palazzo Chigi: tavolo permanente, cabina di regia, unità di missione, dipartimento. Queste sono le formule burocratiche più in voga. E tutti gli altri, come le stelle di Cronin, stanno a guardare.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.