Il racconto

La versione di Giorgia "no problem", mentre la manovra balla ancora

Simone Canettieri

La premier smentisce le frizioni con Tajani, Salvini e Mediaset. Sul Mes prende tempo: il voto in Parlamento sarà rinviato. Ma il problema è la Finanziaria che resta aperta: lunedì il vertice, Forza Italia non molla

Bruxelles, dal nostro inviato.

E’ Giorgia no problem. “Né con Salvini, né con Tajani, né con Mediaset”. Nessuna questione dunque, sottolinea la premier, con Lega, Forza Italia e l’azienda della famiglia Berlusconi che sembra diventata ultimamente – dopo i fuorionda di Andrea Giambruno – quasi un soggetto politico a se stante.    A sentire Meloni (non originalissima in questo caso) “i problemi li inventano i giornali”, come avrà modo di dire a più riprese, punzecchiando la stampa. Sotto la lanterna dell’Europa Building, si cerca di illuminare tre argomenti ancora opachi. Il primo è il Mes (il cui voto in Parlamento sarà di nuovo rinviato), il secondo è la manovra  (ancora aperta e avvolta nel caos) e il terzo riguarda Vittorio Sgarbi. Lui sì che potrebbe avere qualche problema.

 
Sul Mes, convitato di pietra dell’Eurosummit mattutino, Meloni fa capire che non ci sarà un voto del Parlamento (era previsto il 20 novembre): la pratica dovrebbe ritornare in commissione, tipo il salario minimo. Un modo per prendere tempo e per avere, così sono convinti  a Palazzo Chigi, un argomento negoziale in più con la Commissione quando si entrerà nel vivo nelle “difficili” trattative per la riforma del Patto di stabilità, piatto forte qui a Bruxelles per i prossimi mesi. Lei dice che non si è parlato del meccanismo salva stati e soprattutto del caso Italia, unico  paese rimasto a non averlo ratificato. Anche se  il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, interviene per assicurare che “il lavoro continua”. Meloni – che incontra anche Christine Lagarde, miss Bce –  prende tempo: attende la nuova governance del Patto, che insomma cambia la “cornice” per dare il via libera, semmai, al vituperato Mes. Berlino continua nel pressing, intanto a Roma la palla andrà in tribuna (cioè in Commissione). Il balletto più surreale, in un pasticcio di note del ministero dell’Economia e dichiarazioni dei leader e agguati politici,  riguarda la manovra. Prima notizia: non è chiusa, al contrario di quanto dice Matteo Salvini. E’ stata sì inviata a Palazzo Chigi dal ministero dell’Economia, ma senza bollinatura della Ragioneria dello stato. Prima lunedì ci sarà un vertice della premier con i suoi due vice. Poi ritornerà in Via XX Settembre e sarà inviata al Quirinale che – salvo sorprese – la rispedirà al governo per depositare il testo in Parlamento, in Senato. Se la Lega sembra essere stata accontentata sulle pensioni e se il prelievo  forzoso sui conti correnti è scomparso, rimangono sul tavolo le istanze di Forza Italia. Antonio Tajani è secco come la cedolare sulle case che vuole abolire: “Stiamo vigilando”. Ma Giovambattista Fazzolari difende il provvedimento al 26 per cento sugli affitti brevi.
E poi c’è la tassa sul superbonus per le facciate e altri interventi che gli azzurri vogliono modificare. “Siamo pronti a presentare emendamenti”, annuncia Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera e forzista di punta nella fronda interna che guida con Licia Ronzulli, capogruppo in Senato, dove partirà la manovra e dove la maggioranza, in Commissione Bilancio, si regge sui voti di Claudio Lotito e del suo sodale Dario Damiani, entrambi considerati complicati da gestire. “Mulè parla a titolo personale: non ci sarà emendamenti”, fa sapere Tajani perché, come ribadito da Meloni, la manovra sarà blindata e senza possibilità di interventi. Una fattispecie che se dovesse realizzarsi non vedrà il Quirinale fare salti di gioia (su questo argomento Matteo Renzi ha scritto una lettera al capo dello stato, Sergio Mattarella). Tutto balla, tutto è aperto e la coperta si sa è molto corta.  C’è un discreto caos. “Serve compattezza”, spiega la presidente del Consiglio   che alla domande del Foglio sui rapporti con Mediaset risponde: “Sono i rapporti tra il governo e una grande azienda italiana sul quale pure ho letto moltissime ricostruzioni compreso il fatto che io non fossi soddisfatta di quello che Marina Berlusconi ha detto su di me”. Molto più gelida invece è la posizione di Meloni sul futuro, sempre più incerto, del sottosegretario Vittorio Sgarbi: “Per il ritiro delle deleghe, aspettiamo e valuteremo nel merito”. Finalmente un problema, seppur piccolo e secondario, non inventato dalla stampa.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.