populismo da Zero tituli

Perché la politica dello scalpo di Meloni & co è un segno non di forza ma di impotenza

Claudio Cerasa

Prima la guerra agli extra profitti (e alle multinazionali), poi contro la Bce (e Gentiloni). Quindi la deriva securitaria. Il governo vorrebbe mostrare forza, identità, caparbietà, ma manifesta soltanto debolezza e impotenza

Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi fanno una prova, quattro indizi sono una conferma. Se ci fosse una Agatha Christie in grado di dare un senso ai segnali che nell’ultimo mese il centrodestra ha lasciato per strada, non ci sarebbero dubbi. A Palazzo Chigi qualcosa è cambiato. Non c’è un assassino sull’Orient Express. Ma c’è comunque in giro un’arma affilata, che passa di mano in mano, utilizzata con disinvoltura dai principali protagonisti dell’esecutivo. L’arma è quella della logica dello scalpo. Della sfregiatina. Dell’evocazione dell’alibi. Ed è un’arma che a partire da agosto il centrodestra ha cominciato a utilizzare in modo sistematico, quasi a voler ricordare ai propri follower che la destra, in fondo, è sempre la stessa del passato.

 

E’ sempre quella che sa come si puniscono le multinazionali cattive che fanno i propri interessi piuttosto che quelli dell’Italia (il ministro Adolfo Urso, a inizio mese, aveva garantito che avrebbe fatto di tutto per “contrastare le grandi multinazionali”, e il fatto che Ryanair abbia annunciato la riduzione delle rotte in Italia è da questo punto di vista una vittoria strategica del governo). E’ sempre quella che sa come si puniscono le banche che fanno i propri interessi piuttosto che quelli degli italiani (il dramma del decreto contro gli extraprofitti è stato il messaggio veicolato: ogni profitto extra, laddove l’extra decidiamo noi cos’è, non resterà impunito).

 

E’ sempre quella che sa come smascherare la pericolosità intrinseca delle grandi istituzioni europee (le critiche alla governatrice della Bce, Christine Lagarde, colpevole di aver alzato i tassi per abbassare l’inflazione, sono da leggere in vista delle europee: siamo noi i veri argini contro l’Europa cattiva). E’ sempre quella che sa come rispondere alle paure dei cittadini (vedi la furia securitaria scaricata periodicamente alzando le pene di alcuni reati ad alto impatto mediatico). 

 

Ed è sempre quella che sa come denunciare i gombloddi organizzati contro di lei dai pericolosi comunisti europei (vedi il caso del commissario europeo Paolo Gentiloni, diventato improvvisamente, per il centrodestra, un bersaglio, un nemico del popolo, il vero artefice del rallentamento del Pnrr). L’intenzione è quella di mostrare forza, identità, caparbietà, capacità di sottrarsi ai – frase da dire tutto d’un fiato, con tono serio, volto accigliato – i-diktat-dell’Europa-dei-mercati-delle-banche-dei-burocrati-del-Pd-dei-poteri-forti-degli-amici-di-Soros. A uno sguardo più attento, però, l’effetto ottico offerto dalla postura assunta dal centrodestra è del tutto diverso. Ed è, semmai, una manifestazione evidente di debolezza più che di forza.

 

Si attaccano le banche perché si vuole fortissimamente nascondere la propria svolta mainstream sull’economia. Si attaccano le multinazionali perché si vuole fortissimamente nascondere la propria svolta anti sovranista su alcune partite cruciali (cosa c’è di più anti nazionalista che vendere a un fondo americano la strategica rete di Tim?). Si attacca la Bce perché si cerca un modo per nascondere la propria incapacità di reagire ai primi rallentamenti dell’economia (vedi i dati del pil del secondo trimestre). Si aumentano le pene perché non si riesce a ottenere un qualche risultato sul fronte dell’immigrazione (gli sbarchi dall’inizio dell’anno sono tre volte più alti di quelli di un anno fa).

 

Si attacca Gentiloni non solo perché non si riesce a procedere con il passo che si vorrebbe sul Pnrr ma anche perché sui due fronti su cui il governo si era impegnato a ottenere concessioni in Europa per l’Italia (Patto di stabilità e aiuti di stato) il risultato è, come direbbe José Mourinho, zeru tituli. Fare campagna elettorale puntando sulla logica dello scalpo per nascondere le proprie incapacità e allontanare l’attenzione da quello che non si è in grado di fare. Più che un segnale di forza, per il governo, la deriva demagogica è un segnale di impotenza. Zeru tituli, appunto.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.