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le mosse della premier

Il piano di Meloni: rinviare la riforma della giustizia e giocarsi tutto con un referendum sul premierato

Salvatore Merlo

S’avanza un’idea al governo: invitare il ministro Nordio alla pazienza e alla ponderazione e investire tutto sulla riforma costituzionale. Verso un plebiscito dopo le europee, con il precedente (pericoloso) di Renzi

Separare la grande riforma costituzionale della giustizia, che slitterà a dopo dicembre, dalla grande riforma costituzionale sulla forma di governo che andrà incardinata il prima possibile. Evitare la concomitanza di un doppio referendum, perché si combatte una battaglia alla volta, e puntare subito tutto sul premierato: chiamare dunque gli italiani a votare ancora una volta dopo le europee – “volete voi un premier eletto direttamente dal popolo?” – un po’ come fece a suo tempo Matteo Renzi quando voleva abolire il Senato e il Cnel. Ma con un quesito referendario forse più semplice, tutto sommato, da spiegare agli italiani. Questo è il piano di cui si discute a Palazzo Chigi. Assai seriamente. E che contempla anche il rischio, calcolato, di trasformare un plebiscito sulla forma di governo in un plebiscito sulla figura di Giorgia Meloni. Che è quello che accadde proprio a Renzi. Una sfortunata vicenda politica, quella dell’ex presidente del Consiglio, lo scavezzacollo di Rignano sull’Arno, che gli attuali inquilini di Palazzo Chigi contemplano, nel suo orrore, un po’ come a teatro, ovvero con quel piccolo brivido superficiale che coglie gli spettatori di un dramma, ma che si placa subito in un confortevole sentimento di sicurezza: a me questo non capiterà mai.

“Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”, diceva Giulio Andreotti. “Meglio tirare le cuoia che tirare a campare”, lo parafrasava all’incirca Renzi mentre sfidava il mondo intero col suo referendum del 4 dicembre 2016 . E Meloni, invece? La presidente del Consiglio a differenza di Renzi forse non coltiva sogni napoleonici, per così dire. Ma non è nemmeno Andreotti. Restando insomma nella metafora, Meloni non è un eroe classico, ovvero un eroe del trionfo e della conquista, ma forse è un eroe moderno, ovvero un eroe pervaso dal dubbio: si barcamena tra compromessi e negoziati, come sul Pnrr con l’Europa così con gli alleati di governo ai quali spiega le virtù d’una manovra economica da mettere insieme con pochi soldi e all’insegna della prudenza. Fare politica consiste nel fare concessioni, perché occorre cedere sugli aspetti secondari per non rinunciare all’essenziale. E dunque Meloni non intende mettere insieme la riforma della giustizia, che tra le altre cose prevede anche la controversa separazione delle carriere dei magistrati, assieme al referendum costituzionale sul premierato. Meglio separare, e rinviare. Per non rinunciare. Meglio afferrare subito il tema più popolare, e forse più semplice. Un po’ perché il minestrone diventerebbe difficile da illustrare agli elettori, e un po’ forse  perché la Giustizia è uno di quegli argomenti che accendono gli animi, alimentano conflitti, espongono a troppi rischi.

L’eroe classico (Renzi) raggiunge l’apoteosi imponendo le proprie posizioni, l’eroe moderno (Meloni) sa come trionfare attraverso il rinvio e in caso anche attraverso la rinuncia. Sicché, se nei primi mesi di governo era stata la presidente del Consiglio a spronare all’azione riformatrice il ministro della Giustizia, se prima era lei a insistere, adesso è Meloni che invece frena e invita Carlo Nordio alla pazienza e alla ponderazione.  Il disegno di legge di riforma costituzionale del ministro Maria Elisabetta Alberti Casellati è pronto, ha fatto sapere lunedì la premier durante il Cdm: “Darà stabilità ai governi e poteri decisionali ai cittadini su chi deve governare”. La giustizia, per il momento, può attendere.   

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.