Carlo Calenda e Matteo Renzi (Ansa)

L'editoriale dell'elefantino

Renzi, Calenda e gli altri: il centrismo che non c'è

Giuliano Ferrara

Il guaio del centrismo finito in rissa per eccesso di serietà, mentre il paese sta fermo e canta la canzone dell’estate a modo suo

L’altra canzone dell’estate, a parte i lanzichenecchi, è la lite continua tra i due capi del centro liberale e riformista, che dovrebbe vestire lino stazzonato. In realtà un centro liberale in Italia non esiste, ma non perché Calenda e Renzi litigano, ci deve essere un motivo più profondo. Prima dei dioscuri del neocentrismo, gente esperta che ha saputo fare politica e che è managerialmente padrona dei dossier riformatori, anche se adesso si scherzano ogni giorno e si perculano per ogni dove, molti altri hanno provato, con l’appoggio di settori rilevanti della società civile, a trasformare in voti, in eletti, in forza parlamentare, il centro liberale o terze forze azioniste di sicuro e austero lignaggio. E hanno sempre rigorosamente fallito. Chi è andato più vicino all’obiettivo è stato Marco Pannella, ma il suo era un movimento radicale, appunto, sostenuto dal profetismo del capo e dalla sua abilità fregolistica e affabulatoria. Pannella a suo modo faceva “sul serio”, come recita il mantra di Azione, ma sapeva mascherare bene la serietà degli intenti, dei programmi, dei comportamenti. 
      

I democristiani furono il centro immobile e dinamico, i comunisti, i socialisti e perfino gli avventizi come i grillini acquisirono centralità politica e hanno fatto della serietà, e perfino in certi casi della seriosità, un travestimento incline agli accomodamenti, nell’ultimo caso anche alle pagliacciate. Le destre di governo, a partire dalla loro caratura genetica berlusconiana per arrivare al leghismo e ai meloniani, hanno fatto lo stesso da un altro punto di vista rigirandosi intorno a sé come centri di opinione e di potere. Si direbbe che chi vuole sul serio fare sul serio, e lo proclama senza le remore di un compromesso sociale e civile accettabile per i più, non ha un posto maggioritario nemmeno potenziale nella politica e nella società italiane. Di qui l’idea che non siamo un paese o una nazione seria, piuttosto siamo alle vongole. Lo dicono i longanesiani, lo hanno sempre detto gli avversari dei longanesiani, i perbene di tutte le schiatte e di tutte le couches della cultura nazionale. Il Mondo, che fu una rivista dell’intelligenza e della comprensione sociologica culturale letteraria e politica, durò solo sedici anni con la sua integrità e lo spirito compassato che si è sempre ricordato con piacere intellettuale. Altri piccoli giornali per niente pretenziosi, e decisamente di diverso e forse minore valore, festeggeranno tra breve i trent’anni, e il loro segreto è lo spirito tribunizio, in qualche caso ludico, una certa incoscienza e l’assenza di una linea troppo seria per interpretare l’informale e lo scombiccherato italiano.  
       

Non è solo una scherzosa verità, di quelle che non si ama sentirsi dire. Il dissenso personale, individualistico e di leadership, riguarda tutti, ma si radica specialmente nei progetti troppo rigidi, nelle prospettive senza alternative o soluzioni di ricambio, nel gusto o nella pretesa di un assoluto politico, di una totalità di idee e di cultura.

  
Quando si è troppo sicuri del perché non funzionano i taxi, quando si detesta il balneare che è in noi, quando si idoleggiano le tasse, quando si fa dell’Europa una categoria metafisica, quando il debito buono e i prelievi dello stato sul profitto li realizzano i banchieri cattivi o i sovranisti pessimi, e tu protesti in nome dei princìpi di mercato, quando la condotta personale si informa al più corrusco dover essere, ecco, si diffonde un’aura di triste discordia che nessun buon libro, nessun manifesto di valori per quanto impeccabile, nessun benintenzionato programma arriva a disperdere. È un guaio, perché litigiose classi dirigenti finiscono in rissa e senza un seguito adeguato, per eccesso di serietà, e il paese resta fermo nella sua indisponente e indisponibile allegria di naufragi, cantando la canzone dell’estate a modo suo anche se poi le cose non vadano malaccio.       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.