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La conferenza stampa

Fitto sdogana i ritardi “indicativi” sul Pnrr. Ma sulla quarta rata c'è grande affanno

Valerio Valentini

Il ministro per gli Affari europei convoca la stampa per spiegare i passi avanti che sono stati fatti. Nega i ritardi mentre certifica un ritardo. E Mantovano conferma ciò che lui smentisce

È il ministro del futuro prossimo, e se serve anche remoto. “Vedremo, faremo, ci confronteremo”. Per Raffaele Fitto il Pnrr è insomma un po’ un’ipotesi. Perfino le scadenze mancate, e cioè l’unico elemento di concretezza nel mezzo di una metodica fuga nella vaghezza, vanno prese così, alla buona, come “termini meramente indicativi”. Al che Enzo Amendola, del Pd, fa ironia: “Dopo il calendario gregoriano e quello romano, il governo sdogana il calendario indicativo”. Fitto, però, resta serissimo. Anche quando invita chi lo incalza a mostrare “ritardi che non ci sono”, e lo fa nel giorno in cui è lui a certificare il ritardo con cui il governo si muove sulla quarta rata. Per tacere sulla terza, su cui peraltro le certezze del ministro vengono confutate nientemeno che da Alfredo Mantovano.

  

“A me non risulta assolutamente”, risponde Fitto a chi gli chiede, durante la conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi, delle trattative sviluppatesi tra Palazzo Chigi e Bruxelles, quelle che hanno visto la Commissione prospettare all’Italia il pagamento di una rata decurtata di alcune centinaia di milioni (su 19 miliardi totali) nell’attesa di una verifica ulteriore sull’obiettivo contestato, quello relativo agli studentati. Ed evidentemente non sapeva, il ministro, che di lì a poche ore Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sarebbe intervenuto in un convegno alla Luiss a avrebbe letto uno di quegli articoli – di Federico Fubini, sul Corriere della Sera – che raccontavano l’accidente che al ministro “non risulta assolutamente”, e cioè “la storia che ben conosciamo sui numeri di matricola degli studenti che dovrebbero andare negli studentati e tutto questo per mettere in forza 300 milioni di euro su una rata di 19 miliardi”: una rata “che ci sarà”, spiega Mantovano, “ma ci sarà con questo surplus di fatica”. 

 

Del resto Giancarlo Giorgetti già il 30 aprile assicurava che “verrà pagata a breve, è questione di ore”. E di ore, nel frattempo, ne sono passate parecchie. Fino al 20 giugno, quando pure Fitto garantì, di nuovo: “La terza rata? Questione di ore”. Siamo a metà luglio, ed eccoci qui. Eccoci nella sala stampa di palazzo Chigi ad ascoltare il ministro che dice che “sulla terza rata siamo nella fase di verifica di alcuni aspetti di dettaglio dal punto di vista dell’interpretazione”. Il tutto, su obiettivi la cui scadenza era fissata a fine dicembre scorso. Guai, però, a parlare di ritardi. Guai a parlarne perfino oggi che Fitto convoca la stampa per spiegare che sulla quarta rata si sono fatti passi avanti: oggi, 11 luglio, si è, cioè, concordata finalmente con la Commissione la modifica di 10 dei 27 target da conseguire entro… il 30 giugno. Insomma, si presenta come un successo la ridefinizione di una parte di obiettivi per i quali sarebbe già dovuta essere presentata alla Commissione la richiesta di pagamento. Che invece a questo punto verrà inviata quando, ministro? “Noi ci stiamo muovendo d’intesa con Bruxelles”, risponde, non rispondendo. Ma tenendo a ribadire che “il termine del 30 giugno a cui fate riferimento è puramente indicativo, non obbligatorio”. Talmente “indicativo” che anche lui, Fitto, nella sua recente relazione semestrale sull’attuazione del Parlamento, lo “indicava” una dozzina di volte per descrivere gli impegni presi con Bruxelles sulla quarta rata. E del resto anche negli allegati al Pnrr, quelli che sostanziano il “contratto” firmato dal governo italiano con la Commissione, i target delle varie missioni, per il 2023, fanno tutti riferimento a due scadenze: “giugno 2023” e “dicembre 2023”. Dopodiché, certo, giuridicamente non c’è obbligo tassativo, sull’attuazione del Pnrr, se non quello di giugno 2026, quando il Next Generation Eu nel suo complesso verrà sospeso: ed è a quel dettaglio che s’appiglia Fitto per dire che in fondo “l’unico obbligo è quello di presentare due richieste di pagamento all’anno” (ma pure questo, ci si chiede, va inteso come impegno “meramente indicativo” oppure è tassativo? Ohibò).

  
Come che sia, oltre ai cronisti, a ricordare i rischi che derivano dai ritardi nell’attuazione del Pnrr, c’è già il Mef di Giancarlo Giorgetti. Da quelle parti, il mancato incasso dei bonifici previsti (si aspettano ancora i 19 miliardi di dicembre) già sta alimentando parecchi malumori da parte dei funzionari del Tesoro. Che non devono avere appreso con favore che Fitto non offre certezze neppure sulla riscossione dei 16 miliardi connessi alla rata di giugno: “Garanzie sul fatto che questi 16 miliardi arrivino entro la fine dell’anno? Queste sono garanzie che non può dare nessuno”. E si capisce: se solo ora, a metà luglio, si concordano le modifiche di obiettivi che andavano conseguiti quindici giorni fa, è chiaro che la richiesta di pagamento per quei 27 target non potrà avvenire, verosimilmente, prima di un paio di mesi. Di lì partirà la verifica da parte degli uffici della Commissione: e saranno altri mesi, come dimostra la baruffa interminabile sulla terza rata. A meno che, ovviamente, in quel caso non si tratterà, davvero, di una “questione di ore”. Vietato, in ogni caso, parlare di ritardi.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.