finanze europee

Scholz vara 30 miliardi di tagli. Segnali di guerra sul Patto di stabilità. Altro che il Mes di Meloni

Valerio Valentini

Un grande piano di riduzione della spesa pubblica mette la Germania in una posizione di forza al tavolo negoziale europeo. Mentre in Italia la strategia non sembra molto chiara

In Germania, e valli a capire, fanno così: quando vogliono ritrovare consensi, al governo scelgono di annunciare tagli alla spesa. Roba da scontro di civiltà, accidenti. Sta di fatto che mercoledì Olaf Scholz ha convalidato un piano di riduzione del bilancio di quasi 31 miliardi. Dovevano essere una quindicina, secondo le indiscrezioni della vigilia. Ma poi, sulla spinta di quell’austero impenitente di Christian Lindner, ministro delle Finanze e leader dei Liberali in affanno elettorale, s’è scelto di largheggiare.


E uno dirà: vabbè, affari loro. E invece non è così. Perché se la mossa del cancelliere ha senz’altro una spiegazione alla luce delle dinamiche di politica interna, d’altro canto ha indubbiamente pure una ripercussione sulle trattative in corso a Bruxelles per la riforma del Patto di stabilità. E lo conferma lo stesso Lindner quando dice che “siccome siamo alla vigilia di una svolta per quel che riguarda le regole fiscali, è bene alleggerire il debito pubblico per non gravare i cittadini di maggiori tasse”. E insomma, quando i negoziati europei intorno alle nuove regole di bilancio entreranno nella fase decisiva, in autunno, Scholz e Lindner arriveranno con un argomento a proprio favore non proprio debolissimo: mostreranno i propri conti pubblici e spiegheranno che il rigore che Berlino pretende da tutti gli stati membri sono loro per primi, loro che pure potrebbero permettersi qualche decimale di deficit in più senza rischiare granché, a osservarlo. 


Va detto, però, che a quello stesso tavolo, anche Giorgia Meloni è convinta di sedersi brandendo un’arma negoziale irresistibile: “Noi fino a novembre non ratificheremo il Mes”. Eccola, la minaccia che deve far tremare le vene e i polsi dei tedeschi. L’Italia che, con la sua tetragona fermezza, rivendica una sospensiva di quattro mesi sulla discussione della proposta di legge per il varo definitivo del nuovo trattato del Meccanismo europeo di stabilità. Rassicurante, no?


L’accusa che qui incombe, si capisce, è quella di antipatriottismo. Ma la verità è che a essere “contraria alla difesa degli interessi della nazione”, o più semplicemente scombiccherata, è la strategia che il governo sovranista sta adottando. E non solo per la stramba prosopopea di chi – con delicate trattative in corso sul Pnrr – pensa di poter sovvertire gli equilibri politici di Bruxelles  incapricciandosi, per qualche mese ancora, su una ratifica che in ogni caso prima o poi andrà fatta accettare alla propria maggioranza. Ma a sembrare incoerente con le pretese di Meloni di scongiurare “un ritorno all’austerità” c’è anche la sua tattica delle alleanze. Perché il suo amico Mateusz Morawiecki è, manco a dirlo, tra quanti lamentano ogni ventilata ipotesi di alleggerimento dei vincoli finanziari. Ma ancor più ostili alle istanze dei paesi mediterranei, ancor più intrepidi interpreti della disciplina di bilancio, sono proprio quei paesi nordici costituiti da maggioranze tutte tarate a destra che la premier dice di voler prendere a modello per disegnare la nuova Unione dopo il voto del 2024.  Il neo insediato governo finlandese, per dire, quello guidato da Petteri Orpo, ha lanciato a fine giugno un programma di coalizione che prevede tagli drastici alla spesa: 4 miliardi, quasi un punto e mezzo di pil.  
Dato significativo, che va visto accanto a quello tedesco: Scholz ha varato una riduzione di spesa pari quasi un punto di pil, infatti. Che è, e forse non a caso, proprio l’ammontare di riduzione del deficit annuo che la Germania chiede d’introdurre nel nuovo Patto di stabilità per i paesi con più del 3 per cento di deficit che negoziano dei piani di rientro con la Commissione. Insomma, sarebbe proprio l’aggiustamento di bilancio che potrebbe dover effettuare Meloni se passasse la proposta tedesca (al momento, e sempre su pressione di Berlino, i tagli di spesa annui necessari per negoziare con Bruxelles ammontano allo 0,5 per cento). Anche se, però, Meloni ha in effetti l’arma segreta: “Noi il Mes non lo ratifichiamo fino a novembre!”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.