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problemi e soluzioni

Riunirsi parlando di tasse e diseguaglianze. Un appello ai cattolici in Parlamento

Paolo Cirino Pomicino

La crescita delle disparità in questi ultimi trent’anni è stata drammatica sino al punto che oggi si è poveri anche lavorando. Una situazione che deve essere affrontata a partire dalla cause, dalla mutazione genetica del capitalismo mondiale in cui l’uso finanziario del capitale è ampiamente cresciuto a fronte del suo uso produttivo

Cari amici, nell’anonimato culturale in cui è caduto da tempo il Parlamento della Repubblica, sono convinto che in ciascuno di voi l’impronta genetica della vecchia cultura democristiana e della dottrina sociale della Chiesa abbiano lasciato traccia. A questa traccia io oggi faccio appello perché dinanzi a una riforma del fisco che coinvolge la vita e le speranze delle famiglie e delle imprese italiane si possa riprendere un confronto argomentato partendo dalle attuali difficoltà del paese. La crescita delle disuguaglianze in questi ultimi trent’anni è stata drammatica sino al punto che oggi si è poveri anche lavorando. Uno scenario drammatico che pone fine all’idea liberista di un capitalismo esclusivamente economico in cui il mercato è il migliore redistributore della ricchezza prodotta.

 

Noi siamo stati quelli che hanno difeso nella seconda metà del novecento il valore della economia di mercato anche sul terreno delle libertà individuali e collettive e l’eticità del profitto a fronte delle utopie sessantottine o del salario come variabile indipendente. Ricordiamo il passato solo per dire che non possiamo oggi non indignarci a fronte delle disuguaglianze reddituali e sociali che affannano milioni di famiglie italiane. Domandiamoci quali sono le cose che hanno alimentato le disuguaglianze di cui parliamo. Essenzialmente due.

La prima è la mutazione genetica del capitalismo mondiale degli ultimi trent’anni in cui l’uso finanziario del capitale è ampiamente cresciuto a fronte del suo uso produttivo. E quando cito l’uso produttivo del capitale non mi riferisco solo al mondo economico ma anche agli assi portanti del benessere della popolazione, primi fra tutti scuola e sanità. La crescita del prodotto interno lordo è la chiave di fondo della crescita economica del paese ma può essere, come è avvenuto negli ultimi tre decenni, esclusivamente lo strumento per un aumento di una ricchezza elitaria e di una povertà di massa. Cosa che puntualmente è accaduta. Il discrimine sta tutto nel favorire l’eccessiva accumulazione del capitale a discapito dello sviluppo di scuola, sanità, ambiente, insomma di tutto ciò che si identifica nella produzione di beni e servizi. In questi anni il legislatore ha seguito questa spinta folle per cui oggi il prelievo fiscale sugli utili finanziari è al 26 per cento senza alcun elemento di progressività mentre sugli utili delle imprese siamo al di sopra del 28 per cento. Una scuola e una sanità che funzionassero significherebbero risparmio e benessere per le popolazioni e invece hanno avuto un trend di risorse esattamente contrario a quello dell’accumulazione della ricchezza.

L’altra faccia delle disuguaglianze sono i salari più bassi dell’Eurozona per cui, come dicevamo, pur lavorando si può essere spesso poveri. E qui ci sono due temi che si accavallano, una insufficienza degli investimenti privati e l’attuale sistema fiscale. Dal 1994 l’Italia ha ridotto la spesa in conto capitale passando dal 4/5 per cento del prodotto interno lordo degli anni 80 al 2/3 per cento di questi ultimi decenni. Questa riduzione degli investimenti pubblici (in 30 anni oltre 1.000 miliardi in meno) ha trascinato anche la riduzione degli investimenti privati che in genere facevano recuperare produttività perché incidevano sui prodotti e sul processo produttivo e le aziende hanno recuperato competitività di prezzo comprimendo i salari e portando, in alcuni casi, gli utili verso la economia finanziaria. L’altro tema è la pressione fiscale sugli emolumenti dei lavoratori subordinati e sui pensionati. La quota libera da prelievo fiscale va da 8.100 per i dipendenti e 8.500 per i pensionati. Prendiamo un lavoratore o un pensionato che prendendo 1.000 euro al mese e quindi 14 mila l’anno compreso 13esima e 14esima. Avranno un prelievo fiscale sui 200 euro al mese in più del salario libero da imposte. Il vero obiettivo politico di una riforma del fisco è quello di alleggerire il prelievo sulle imprese, a cominciare anche dagli utili reinvestiti, e allargare l’area della “no tax area”. Il tutto sarà molto più utile della riduzione di 500 o 1000 euro in meno di prelievo all’anno sul ceto medio perché da un lato spinge la grande liquidità nazionale ed internazionale all’uso produttivo del capitale e dall’altro dà una mano agli ultimi che finiranno per aumentare la domanda interna di consumi. E poi, cosa che non guasta, forse si potrebbe riannodare la stima verso la politica oggi ritenuta subalterna non alla economia ma proprio alla finanza e avviare una lunga riflessione sul rischio che il capitalismo possa cannibalizzare l’economia di mercato e quindi se stesso. 
 

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