(foto Ansa)

l'intervento

La parabola del Cav. è legata a quella delle sue tv

Giorgio Gori

Dal piccolo schermo ai social. Ascesa e declino della politica personalistica di Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi ha creato la televisione commerciale italiana e la sua dimensione politica è stata forgiata da quel mezzo. Il tentativo di separare il Berlusconi imprenditore dal Berlusconi politico è impresa improba, seppure comprensibile – io stesso ci ho provato, anche solo per descrivere l’ammirazione e la riconoscenza verso il primo, e la distanza dalle idee e dai comportamenti del secondo – ma è un fatto che senza la televisione commerciale, affermata in Italia da Berlusconi, il Berlusconi politico non sarebbe esistito, e la politica italiana sarebbe stata diversa. Questo non già per la ragione che il Cav. poté servirsi delle sue tv (o di una parte di esse) per sostenere la famosa “discesa in campo” e le successive campagne elettorali, e neppure – o comunque non solo – per quanto le reti del Biscione avessero contribuito anche prima del ’94 a plasmare l’immaginario collettivo (su questo si potrebbe aprire un lungo ragionamento, che sintetizzo: se è vero che la tv commerciale non ha altra finalità editoriale che “dare al pubblico ciò che il pubblico desidera”, per trasformare il pubblico in contatti da vendere al mercato pubblicitario, è allora il pubblico a dare forma alla tv ben più di quanto la tv possa dare forma al suo pubblico); bensì per la ragione che Marshall McLuhan mise agli atti già nel 1964, ovvero per il fatto che “il mezzo è il messaggio”. Berlusconi politico è stato ciò che è stato, soprattutto nella sua stagione più fortunata, e la politica italiana è profondamente cambiata, a partire dalla sua “discesa in campo”, per la ragione che la televisione commerciale ha forgiato l’uno e l’altra. Parlo della tv come mezzo universale e popolare, quotidiano e principalmente femminile, empatico e vocato all’intrattenimento

 

La tv, costruita per fare audience, plasma (anche) la politica intorno alla sua natura, le trasferisce la propria vocazione e i codici del proprio linguaggio. La tv commerciale privilegia i primi piani – quindi il volto dei suoi protagonisti, l’efficacia del contatto visivo – e rifugge la comunicazione noiosa. Per “trattenere” – evitare che lo spettatore cambi canale – è costretta a “intrattenere”, e la politica non può che conformarsi a questa regola. O meglio, c’è chi lo capisce e chi no. Ma chi la conosce e la pratica meglio di tutti è l’uomo che quel “mezzo” ha contribuito ad affermare, Silvio Berlusconi. 

 

Fu populismo? Forse sì, ma principalmente perché il mezzo aveva le sue leggi: disintermediazione e personalizzazione, che Berlusconi riempì del suo carattere prorompente. Era l’età d’oro della tv commerciale e fu l’età d’oro di quella politica e di quel politico, che molti furono poi costretti ad imitare. Già oggi, in un contesto in un cui la tv generalista pesa molto meno, in un panorama frammentato in cui la tv non è più “il rosso dell’uovo” e un nuovo mezzo – i social network – determina in via prevalente il linguaggio e il contenuto della politica, quest’ultima funziona in modo diverso. C’è molta più volatilità del consenso, per esempio. Non è quindi solo per naturale invecchiamento – personale e del modello – che Berlusconi ha visto declinare il proprio successo. La sua parabola politica, se ci fate caso, corrisponde a quella del mezzo che a lui deve la propria affermazione e da cui ha ricevuto altrettanta fortuna.

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