(foto Ansa)

la telenovela

Baruffe venete. Il congresso della Lega in regione imbarazza pure Salvini

Francesco Gottardi

La base del Carroccio lo aspetta da anni, ma gli yes men del segretario non sono sicuri di vincere: quindi, piuttosto che rischiare, meglio tergiversare, modificare il regolamento interno. O espellere i dissidenti

Sembra una nota pièce teatrale. Scena: due leghisti in mezzo alla pianura veneta, fazzoletto verde e gonfalone di San Marco. “Semo drio spetar Godot”, pardon, il congresso regionale. Che oggi non si fa, domani forse, ma dopodomani sicuramente. E quando poi dopodomani arriva, si è punto e capo. Da quattro anni. Gli ultimi tre di commissariamento. E quasi altrettanti di guerre intestine. Il grande giorno in calendario, al momento, sembrerebbe il prossimo 25 giugno. Ma il condizionale è d’obbligo: i vertici del partito non danno conferme. Non fino a quando saranno sicuri di vincere. Cioè, potenzialmente, mai. Della serie: piuttosto che mancare di eleggere un segretario di comprovata fede salviniana, meglio non votare affatto. E così si torna a Godot.

 

La vicenda ha assunto contorni grotteschi. Ai limiti della telenovela. Ci eravamo lasciati, qualche mese fa, raccontando la sicumera di Alberto Stefani: il commissario uscente che applaudiva l’esito dei vari congressi provinciali. “Ci garantisce almeno 50 delegati di vantaggio in regione”, sosteneva a marzo. Evidentemente oggi non è più così. Perché la stessa candidatura di Stefani, data a lungo per scontata, non è ancora ufficiale. Troppo debole, forse. Mentre è chiara e forte quella dello sfidante numero uno: Roberto Marcato, l’assessore di Zaia allo Sviluppo economico che vuole restituire la Liga al territorio. E liberarla dai cacicchi di Salvini. Che a loro volta le stanno provando tutte, pur di dirottare il congresso a proprio vantaggio.

 

La lista dei sotterfugi è lunga e sempre più machiavellica. Prima gli iscritti dell’ultim’ora, piovuti dal cielo (o da via Bellerio) a ridosso del voto nelle sezioni locali. Per far vincere candidati di comodo. Ma finché succede nella piccola Albignasego è un conto. A Padova la cosa inizia a fare scalpore. “In regione voglio proprio vedere come faranno”, ci ha raccontato a più riprese Fabrizio Boron, consigliere dissidente. Ed ecco come han fatto. Al congresso regionale della Lega, oltre ai 420 delegati eletti nelle province hanno diritto di voto anche i delegati istituzionali: sindaci, assessori, consiglieri, parlamentari. Una sessantina in tutto. E siccome la stragrande maggioranza di questi sostiene Marcato, la triade Stefani-Bitonci-Ostellari – che da Roma tiene i fili del Veneto – ha escogitato una modifica al regolamento congressuale: il peso elettorale dei delegati istituzionali sarà cinque volte inferiore rispetto agli altri. Una mossa-bomba. Talmente spudorata che, dopo le proteste del direttorio e il polverone a mezzo stampa, è dovuto intervenire Salvini in persona. E fare dietrofront.

 

Ma mica è finita qua. La soluzione dall’alto è che tutti i delegati avranno pari peso alle urne, a patto che siano in regola con i versamenti volontari al partito. Il nuovo tranello: quasi tutti gli amministratori locali – e questo Stefani e soci lo sanno bene – non lo sono, proprio per via delle annose questioni legate al commissariamento. Così in casa Lega è tornata la stagione delle purghe. La scorsa settimana sono stati espulsi per direttissima una decina di delegati. Tutti marcatiani. Tra questi c’è anche Boron, che si dirà, da tempo non fa che attaccare le alte sfere del Carroccio. Ma pure alcuni insospettabili. Come Michele Rettore, il cui benservito resta un mistero. O sempre nel Padovano, Tiziana Gaffo. Per via di alcune vecchie dichiarazioni no vax, è convinta la base della Liga. E questa ipotesi sarebbe un capolavoro di faccia tosta: ricordiamo tutti la stagione dei Borghi, dei Bagnai, dei dilemmi del partito nel governo Draghi ma con una malcelata simpatia per il fronte  no green pass. A partire da Salvini. Che a quanto pare, con un paio d’anni di ritardo e a pandemia finita, ha deciso che certe posizioni tra le sue file proprio non si può più tollerarle. E che diamine.

 

Il risultato è che il Veneto verde versa nell’incertezza. Se il congresso non si farà il 25 giugno si rischia di scivolare a settembre. E perdere altro tempo prezioso, perché l’enorme consenso in terra di Zaia – volutamente estraneo alle beghe interne, chiamatelo scemo – è in via di erosione verso Fratelli d’Italia. L’anno prossimo ci saranno le europee. Nel 2025 toccherà a un nuovo governatore. E la Liga prega che non sia meloniano. Per questo Marcato ha deciso di opporsi al dirigismo del Carroccio con tutte le sue forze. Da terzo incomodo, lo fa anche Franco Manzato: capopopolo della Treviso offesa, un tempo fucina di militanza – l’ultimo segretario regionale, ora europarlamentare ribelle, è Toni Da Re, proveniente dalla Marca. A sponsorizzare la candidatura di Manzato ci sono Dimitri Coin, Gianpaolo Gobbo e altri esponenti della prima ora bossiana. Difficile che abbia i numeri per contendere l’elezione, più verosimile fare da ago della bilancia. Con il rischio di disperdere voti antisistema e favorire Stefani. I salviniani però non ci sperano. Altrimenti non si prodigherebbero tanto per spianare la strada verso il congresso. O bloccarla del tutto. Tanto vale aspettare ancora, no?

Di più su questi argomenti: