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Il testa a testa

In Veneto la Lega va verso la resa dei conti. E Salvini rischia il tracollo

Francesco Gottardi

I lealisti del segretario sono insidiati in ogni provincia dai militanti zaiani, che ora puntano al congresso regionale. Nonostante la disparità di mezzi, la partita è aperta: il leader del Carroccio può ambire al massimo a non perderla e limitare i danni. Intanto Zaia resta alla finestra

Destino verde rabbia. Proprio adesso che Matteo Salvini si è calato nella parte del ministro sobrio e pragmatista, giù al nord rischia di venirgli a mancare la terra sotto i piedi. E non una terra qualunque: quella veneta, fucina di elettori e militanti, la prima ad aver ultimato i congressi provinciali del Carroccio dopo la sofferta stagione dei commissariamenti. Il quadro mostra un partito spaccato in due anche nei numeri: lealisti contro dissidenti, salviniani contro zaiani.

Ora tutti guardano alla primavera, quando il dibattito interno salirà di giri fino alla regione. La vera resa dei conti. Perché se non vince il giovane delegato uscente Alberto Stefani, fedelissimo di Matteo, toccherà a quegli altri. Che al segretario in felpa riservano epiteti di questo genere: “Capitan fracassa, ministro per il Sud, leader della pattuglia acrobatica (nel senso che non sai mai che casini ti combina)”. Nel migliore dei casi.

 

È da più di un anno che il Veneto leghista brulica di attivisti ribelli. Ma un conto è se si tratta di singoli, per quanto fragorosi – assessori, sindaci, consiglieri. Ben altra storia sarebbe se la linea di Salvini dovesse finire delegittimata dal congresso regionale. Nonostante l’apparato, rispetto agli sfidanti, goda di una schiacciante superiorità di mezzi, risorse e libertà di manovra – come la sfilza di voti imprevisti alle assemblee: Stefani li chiama “iscritti dell’ultim’ora”, i suoi avversari “fantocci arruolati ad hoc”. E l’esito definitivo ad oggi è incerto, dopo settimane di dura contesa. I candidati del commissario hanno conquistato due piazzeforti come Padova e Verona, sia pure con minor scarto del previsto. Poi Venezia con l’astuzia: Sergio Vallotto è diventato segretario provinciale con appoggio bipartisan, salvo poi giurare fedeltà a Stefani. I congressi di Vicenza, Belluno e Rovigo sono invece andati ai pretoriani del ‘bulldog’ Roberto Marcato: campione di preferenze, assessore di Zaia allo Sviluppo economico e leader dell’intifada che da mesi va ringhiando contro gli yes men di Salvini per riportare il partito ai valori originari federalisti. Risultato parziale 3-3, dunque. Perché a Treviso ha vinto a sorpresa Dimitri Coin, un indipendente che in regione sosterrà il bossiano della prima ora Franco Manzato: terzo incomodo e potenziale ago della bilancia fra Stefani e Marcato.

 

Difficile capire come andrà a finire, anche perché a sentire i diretti interessati sembra di ripiombare nelle agiografie antiche. Da una parte Stefani e soci – su tutti, i parlamentari padovani Bitonci e Ostellari – rivendicano già la vittoria, dichiarando di disporre su “almeno 235 delegati neoletti al congresso regionale” su 421 totali. Dall’altra i marcatiani non vedono l’ora di andare al voto, convinti di poter rovesciare il verdetto: “Finché il pallone è tuo”, ci ha detto e ridetto il consigliere Fabrizio Boron, “puoi anche fare il prepotente. Ma alle vere elezioni tutto questo si paga. Ed è dura pilotare gli iscritti”.

Persiste invece il silenzio del presidente, per il dispiacere di Marcato che ancora non ha ottenuto il suo aperto endorsement. Ma si sa: Zaia è abituato a giocare soltanto partite vinte. Se i ribelli ce la faranno, verrà portato in trionfo. Se la spunterà la nomenklatura, per Salvini sarà soltanto un tracollo evitato. In entrambi gli scenari il ‘doge’ non piange: è per questo che in Veneto è ancora senza rivali.

 

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