(foto Ansa)

Il caso

Meloni a Tunisi inseguita dall'incubo sbarchi. E sul Pnrr: "Ho fatto come Draghi". Ma non è così

Simone Canettieri

La premier da Saied come garante del prestito del Fmi da 1,9 miliardi al motto "sono Giorgia mi manda Georgieva". E sulla critiche della Corte dei Conti dice: "Ho prorogato le norme del mio predecessore". Ma solo lo scudo erariale

Doveva andare a Tunisi con l’olandese Marke Rutte per una missione europea. Invece alla fine la premier questa mattina incontrerà da sola il presidente Kais Saied. Nella speranza che la prossima volta sia in compagnia magari di Ursula von der Leyen. Nel frattempo Meloni gioca d’anticipo. Vuole evitare di passare l’estate a contrastare il boom di sbarchi dall’Africa. Altro che blocco navale. A Saied dirà: sono Giorgia, mi manda Georgieva. Nel senso di Kristalina, direttrice del Fmi che dovrebbe sganciare un prestito da 1,9 miliardi di dollari. 

Finora i principali ostacoli a questa operazione sono arrivati dagli Usa, dunque dall’alleato principe dell’Italia che chiede alla Tunisia riforme pesanti. Ecco perché Meloni si trova in una posizione non facilissima: da una parte il rischio default del paese con sbarchi incontrollati nelle nostre coste, dall’altra la contrarietà dell’amministrazione Biden. Secondo l’agenzia Reuters, Saied non ha mai sostenuto pubblicamente un accordo con il Fondo monetario internazionale.

L’organizzazione teme perciò che il presidente possa annullare le riforme una volta ottenuto il prestito, oppure addossarle la colpa per la difficile situazione economica. Da Palazzo Chigi sono convinti che ci siano degli spiragli, che siano possibili dei negoziati: “Altrimenti il presidente non sarebbe partito”. Non è chiaro però se quello di Meloni sia un tentativo disperato o una strategia ben collaudata per arrivare al risultato. Si è parlato anche di uno schema Pnrr: un prestito a tranche. Come spiegato a Nicola Porro a “Quarta Repubblica” su Rete4, per la premier “la Tunisia è in una situazione delicata: se salta rischiamo l’arrivo di 900 mila persone”.

La faccenda dura da mesi: Meloni l’ha tirata fuori la prima volta al termine del Consiglio europeo lo scorso 23 marzo. Poi se l’è portata dietro in Italia durante il bilaterale con Rutte e di nuovo in Giappone al G7 quando ha parlato con Georgieva, cercando anche di ammorbidire, in un gioco di sponde, la posizione di Joe Biden sul prestito. In questa partita manca anche la Francia. Ma non ci sono casi diplomatici particolari, se non il perenne gioco di specchi tra la politica interna di due paesi e le relazioni diplomatiche. Comunque sta di fatto che giovedì scorso dal vertice europeo in Moldavia è scattata la telefonata fra Meloni e il presidente tunisino Saied. Da qui la visita di oggi.

L’Italia prova a farsi da garante per facilitare il prestito ed evitare che la situazione imploda. “Ma serve un chiaro impegno del vostro governo, nel pieno rispetto della vostra sovranità e calibrando le riforme strutturali alle esigenze sociali della popolazione”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani all’omologo Nabil Ammar nell’incontro preparatorio in vista della missione lampo della presidente del Consiglio: alle 10 è attesa a Tunisia, alle 16 l’agenda la dà già di ritorno a Roma per partecipare alla presentazione della candidatura italiana per Einstein Telescope. Inizia così una settimana internazionale in vista dell’arrivo del cancelliere tedesco Olaf Scholz, previsto per giovedì nella capitale. Intanto, ci sono le grane interne ad agitare il governo a partire dalla vertenza aperta con la Corte dei conti sul Pnrr. Su questo punto, Meloni si rifà a Mario Draghi, il suo ingombrante predecessore. “Sommessamente osservo che facciamo quello che ha fatto il precedente governo”. E qui bisogna osservare che no, non è proprio così.

Perché se è vero che la proroga dello scudo erariale si pone in scia con una scelta di Conte prima e di Draghi poi, la revoca del controllo concomitante da parte della Corte dei conti sul Pnrr è invece una scelta con cui Meloni sconcia quello che il suo predecessore a Palazzo Chigi aveva fatto, d’intesa con Bruxelles. Da qui parte però, anche a dispetto delle evidenze, un ragionamento un po’ vittimista, già sentito in questi mesi. “Il problema – dice la premier – è che c’è una deriva autoritaria se qualcuno che viene da destra e non da sinistra non avesse gli stessi diritti che hanno loro. Questo è un problema. Loro dicono che c'è una deriva autoritaria sulla Corte dei Conti che continua a fare i controlli, fa la relazione semestrale e nessuno le ha messo un bavaglio”. Oggi la fiducia al decreto Pubblica amministrazione dove sono inserite le nome sulla Corte dei conti: il Terzo polo balla tra l’astensione e il voto contrario. Dettaglio di cronaca nell’intervista a Porro di ieri, la seconda da quando è premier, Meloni attacca per la prima volta Elly Schlein, segretaria del Pd. Casus belli: la contestazione alla ministra Eugenia Roccella durante il Salone del Libro. “Se non distingue il dissenso dalla censura, in Italia sì che abbiamo un problema”. Niente a che vedere con l’ombra di sbarchi incontrollati nelle coste italiane, il vero assillo di Meloni in queste ore.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.