Il vero problema della riforma fiscale non è la Flat tax, ma tutto il resto

Luciano Capone

Tanti osservatori si sono concentrati sulla stroncatura della "tassa piatta", che non si farà mai. Ma le critiche più importanti della Banca d'Italia, in termini di equità ed efficienza, riguardano quello che il governo vuole e può fare: dalla flat tax incrementale alla cedolare secca

È stato dato molto risalto alle critiche della Banca d’Italia alla delega per la riforma fiscale, ma forse non a quelle più rilevanti. L’audizione ha attirato l’attenzione degli osservatori per la bocciatura della “flat tax”, indicata come punto di arrivo seppure non immediato dal governo. “Un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale – ha detto il capo del servizio Assistenza e consulenza fiscale, Giacomo Ricotti – potrebbe risultare poco realistico per un paese con un ampio sistema di welfare, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica”. Insomma, la flat tax – soprattutto a un livello basso come proposto dalla destra –, oltre ai problemi redistributivi, in un paese come l’Italia con un’alta spesa pubblica e un debito pubblico elevato è “poco realistica”.  La critica della Banca d’Italia è sicuramente un colpo alla propaganda del governo Meloni, ma dimostra anche perché non è questo il vero problema della riforma fiscale: con un vincolo di bilancio che impone avanzi primari sempre più consistenti e quindi coperture credibili e strutturali (nessun taglio delle tasse in deficit), la flat tax semplicemente non si farà mai.

 

Il problema vero, invece, è cosa il governo vuole e può fare. È su questo aspetto che le osservazioni della Banca d’Italia, seppure meno dure della stroncatura della flat tax, risultano più rilevanti. Siccome il sistema ad aliquota unica per la tassazione dei redditi non ci sarà mai, ciò su cui bisogna concentrare l’attenzione è la cosiddetta “fase transitoria” che, nell’impossibilità di arrivare alla flat tax, sarà la fase permanente. In particolare, vengono segnalate due proposte che “potrebbero avere effetti non desiderabili” rispetto all’obiettivo dell’equità orizzontale indicato nella delega.

 

Una è l’estensione ai lavoratori dipendenti della cosiddetta “flat tax incrementale”, appena introdotta per gli autonomi e i redditi da impresa, che applica un’aliquota più bassa ai redditi guadagnati in più rispetto al livello più elevato nel triennio precedente. “Questo regime comporta distorsioni dovute al diverso guadagno ottenibile, a parità di reddito dichiarato, a seconda dell’incremento realizzato o, a parità di incremento, a seconda del reddito di partenza”, commenta la Banca d’Italia. L’altra proposta è l’estensione della cedolare secca agli immobili a uso commerciale, che si aggiungerebbe a quella sulle abitazioni. È vero che così verrebbe meno la differenza di trattamento ma, come osserva la Banca d’Italia, la tassazione agevolata sulle abitazioni (a prescindere dai risultati) ha come principale motivazione quella di ridurre il fenomeno degli affitti in nero: “Questa giustificazione sembra più debole nel caso degli immobili destinati a scopi commerciali”. In questo caso, si tratterebbe semplicemente di uno sconto sulle tasse a chi guadagna dagli affitti.

 

Così però non si persegue l’equità orizzontale, il principio secondo cui a parità di capacità contributiva si è tassato allo stesso modo, ma l’opposto: la rendita immobiliare viene tassata meno del reddito da lavoro. “L’estensione dei regimi sostitutivi potrebbe condurre a un risultato opposto all’intento dichiarato nel ddl, con un peggioramento dell’equità e dell’efficienza del sistema – dice la Banca d’Italia – essa infatti accentuerebbe l’erosione della base imponibile, già aumentata in modo significativo nel corso degli ultimi decenni soprattutto per effetto di un processo di 'cedolarizzazione' di alcuni imponibili”. Un altro esempio di questo fenomeno che sottrae pezzi di contribuenti all’Irpef ritagliando regimi agevolati è la cosiddetta “flat tax” per gli autonomi. La riforma proposta dal governo, quindi, a parole predica l’equità orizzontale, ma nella pratica fa l'opposto proseguendo nello svuotamento della base imponibile dell’Irpef.

 

Ma questa scelta di fondo oltre che di equità è anche un problema di efficienza, perché per promuovere la crescita si dovrebbe spostare il carico fiscale dai fattori produttivi (investimenti e lavoro) alle rendite e ai consumi: il governo Meloni vuole fare l’esatto contrario. La stessa logica è purtroppo applicata anche per la tassazione delle imprese che “appare ispirata a favorire le imprese di dimensioni più contenute”. Sebbene molte Pmi siano dinamiche, in generale “mostrano livelli di produttività modesti” mentre è scarsa la presenza di imprese medio-grandi con un’efficienza paragonabile al resto d’Europa: “Va evitata l’introduzione di disincentivi alla crescita dimensionale – dice Bankitalia – adoperandosi invece per l’eliminazione di quelli esistenti”. Ma anche in questo caso il governo ha intenzione di fare il contrario.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali