Fitto e il Pnrr nella doppia morsa di Bruxelles e dei presidenti di regione

Valerio Valentini

La Commissione congela la procedura per l'erogazione dei 19 miliardi della terza rata. Il ministro meloniano non ci sta: "Dove prima passava un elefante, ora passa un moscerino". Ma intanto anche i governatori protestano per il mancato sblocco dei fondi europei

Il sospetto ha preso consistenza nell’attesa. Sospetto che sa di paranoia e d’alibi insieme, eppure ci sarà un motivo se Raffaele Fitto ai colleghi di governo che gli hanno chiesto lumi ha detto, sibillino, che “dove prima passava un elefante, ora non passa un moscerino”. La cruna dell’ago, o insomma il filtro incriminato, è quello della Commissione europea. Perché, se pure l’erogazione della ormai fatidica terza rata del Pnrr, quella da 19 miliardi relativa agli obiettivi del dicembre scorso, resta scontata, le complicazioni dell’iter continuano a essere tante e per lo più inattese. Al punto che a Bruxelles hanno deciso di congelare le procedure, ricorrendo a una protocollo che di solito si usa quando le scadenze prestabilite diventano proibitive.

E se da un lato è l’Ue, il cruccio, dall’altro il ministro meloniano deve gestire anche il tarlo dei governatori. Che, ancora una volta, hanno approfittato della Conferenza stato-regioni di due giorni fa per avanzare doglianze proprio sulla programmazione economica. Opposizione politica, anche qui, è convinto Fitto. E però va detto che, se è vero che proprio i dem Michele Emiliano e Vincenzo De Luca sono stati i più polemici, qualche lamentela giovedì è arrivata anche dai presidenti di centrodestra.

La contesa è stata, com’era prevedibile, sulla ripartizione dei fondi di sviluppo e coesione. Le regioni – come aveva del resto obiettato al ministro il presidente della Conferenza, il leghista friulano Massimiliano Fedriga, con una lettera del 20 aprile scorso – pretendono di ricevere i soldi  della programmazione europea del 2021-2027: si tratta nel complesso di 74 miliardi, e ciascun governatore vorrebbe averne una quota secondo i parametri di ripartizione fissati a luglio 2022 dal governo Draghi, e mai attuati da Fitto. Il quale, del resto, non le ha mandate a dire: e anzi ha spiegato che quell’accordo elaborato dall’allora ministra per il Sud, Mara Carfagna, “non è più attuale”, oltre ad essere “molto frammentato, con 48 programmi, di cui 10 nazionali e 38 regionali”. Non solo, ha ribadito che “l’integrazione tra politica di coesione e Pnrr è una necessità avvertita a livello europeo”.

Per cui, prima di sbloccare i fondi che i governatori reclamano, Fitto ha annunciato che svolgerà una serie di incontri per verificare le ragioni della mancata spesa della programmazione precedente e per garantirsi che i nuovi obiettivi siano coerenti e complementari rispetto a quelli del Pnrr. “Perché se negli ultimi nove anni abbiamo speso appena il 26 per cento dei 126 miliardi di fondi europei, come possiamo pensare, senza cambiare metodo, che si riusciranno a spendere in sei anni i 200 miliardi del Recovery?”. Obiezione di fronte alla quale, però, oltre alla prevedibile opposizione di De Luca e Emiliano, hanno espresso qualche perplessità anche Piemonte, Lombardia e Lazio, seppur per motivi diversi.

E poi c’è l’Europa, appunto. C’è, in effetti, una trattativa che procede a singhiozzi tra Roma e Bruxelles. Fitto confidava nel fatto che, espunti i progetti contestati sugli stadi di Firenze e Venezia, e superate le contestazioni sui progetti del teleriscaldamento e della messa a gara delle concessioni portuali, le procedure di verifica della Commissione sugli altri 55 obiettivi di dicembre 2022 sarebbero procedute fluide e spedite. E invece, la scorsa settimana, un po’ a sorpresa i funzionari di Ursula von der Leyen hanno avanzato nuove riserve, chiesto ulteriori chiarimenti su un’altra mezza dozzina di target. Il governo ha fornito, finora, tutte le spiegazioni necessarie, e però tutto resta sospeso. Anche formalmente, a ben vedere, dal momento che la Commissione ha comunicato di aver congelato i tempi: l’ulteriore mese preventivato per completare l’assessment, cioè, si prolunga al momento in modo indefinito, nell’attesa che, superate le criticità insorte nel frattempo, il conteggio dei giorni mancanti alla risposta definitiva possa riprendere.

E così il bollino verde sulla rata da 19 miliardi, previsto inizialmente – dopo la proroga di un mese – per inizio maggio, rinviato poi a “dopo il 9, perché il 9 è la festa dell’Ue” (fu questa la spiegazione fornita da Palazzo Chigi), è ancora lì, fermo a mezz’aria. Che sia davvero un segnale politico che la Commissione manda a Giorgia Meloni? Chissà. Di certo c’è che – al di là del Mes, al di là dei balneari – a Bruxelles troverebbero non poco conforto nel conoscere fino in fondo le intenzioni del governo italiano sulle proposte di modifica del Pnrr e sulla richiesta dei finanziamenti ulteriori per il RePowerEu. Ma in questo caso è Fitto a non avere fretta. “La scadenza è al 31 agosto”. E il 31 agosto deve apparire ancora lontano.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.