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L'editoriale del direttore

Cosa può imparare la nuova Rai da due grandi scelte di Fazio e Maggioni

Claudio Cerasa

Indignarsi per il complottismo, non per l’occupazione del potere. La tv pubblica del futuro potrebbe essere anche migliore rispetto a quella del passato, ma deve trovare il coraggio di alzare un muro contro la politica del complotto

Il tradizionale urlo di dolore espresso per i cambiamenti improvvisi impressi dalla politica in Rai rischia di suonare molto ipocrita quando gli svenimenti causati dall’occupazione del servizio pubblico arrivano da coloro che il servizio pubblico in questi anni lo hanno gentilmente occupato grazie alle triangolazioni con il vecchio potere politico. Non esiste, dunque, un tema di Rai occupata, così come non esiste un tema di occupazione del potere da parte della nuova classe politica, dato che i politici che si trovano oggi al potere fanno esattamente quello che facevano i politici che si trovavano ieri al potere e tendono cioè a presidiare militarmente tutte le caselle occupabili senza arrecare un grave danno alla vita economica del paese. Il tema della “vergogna Rai” – come ha enfaticamente titolato ieri La Stampa di Torino – è un tema che andrebbe sostituito con uno più importante, che riguarda un tratto particolare della natura del cambiamento in corso. La Rai di Carlo Fuortes verrà ricordata più per il modo ridicolo con cui l’ex amministratore delegato della Rai ha lasciato la Rai che per quello che la Rai ha fatto sotto la sua guida. Ma nonostante questo, nella Rai di questi anni, compresa la Rai di Fuortes, ci sono state alcune trasmissioni che, per le ragioni che vedremo, hanno impreziosito il servizio pubblico. E nei giorni in cui la Rai ridefinisce se stessa – da ieri come sapete, c'è un nuovo ad: Roberto Sergio – vale la pena celebrare quelle trasmissioni e persino omaggiarle.

E’ stata una storia di successo, negli ultimi anni, la trasmissione di Fabio Fazio, non per questioni legate agli ascolti, non per questioni legate agli introiti pubblicitari, non per questioni legate agli ospiti internazionali, ma per una doppia e saggia scelta di campo fatta dalla trasmissione di Fazio dal 2020 a oggi: ignorare i complottisti. E’ stato così durante la pandemia. E mentre altri canali del servizio pubblico, in quegli stessi mesi, trasformavano scalatori alticci in maître à penser della virologia, la trasmissione di Fazio si è distinta per l’esatto opposto: molto spazio alla scienza, zero spazio alla dietrologia e nessun tentativo di alimentare, sui vaccini, penose risse da bar. Lo stesso è capitato durante il conflitto in Ucraina. E mentre altri canali e altre trasmissioni del servizio pubblico, in quegli stessi mesi, trasformavano scalatori alticci in maître à penser della geopolitica, la trasmissione di Fazio ha fatto l’esatto opposto: molto spazio alle ragioni della difesa dell’Ucraina, poco spazio alle ragioni dell’aggressione della Russia e nessun tentativo di trasformare la resistenza di un popolo aggredito in un’occasione per costruire risse da bar. Lo stesso, se ci pensate, ha fatto nei mesi più duri del conflitto il Tg1 di Monica Maggioni che con coraggio ha scelto di non dare spazio ai complottisti, ha scelto di non trasformare i ragionamenti sulla guerra in Ucraina in un’occasione per alimentare la zizzania e ha scelto di non assecondare la tendenza diffusa di scaricare le colpe del confitto sull’occidente brutto e cattivo.

La Rai del futuro potrebbe essere anche migliore rispetto a quella del passato. Ma se c’è una lezione che queste storie consegnano ai successori è che il servizio pubblico ha un senso non solo se riflette gli umori del proprio editore (e fino a che la Rai non verrà privatizzata l’editore resterà sempre il politico con più potere). Ma anche se nei momenti importanti mostra di avere coraggio nel scegliere da che parte stare. E avere coraggio, nel caso specifico, significa per la destra fare l’opposto di quanto realizzato nel passato: alzare un muro contro la politica del complottismo (do you remember Foa?). E chissà se un ad che anni addietro ha dato prova di robusto putinismo e di gagliardo complottismo riuscirà nell’impresa di fare quello che sta tentando di fare Meloni al governo: provare ad acquisire credibilità smentendo con forza il proprio passato. Dita incrociate. E un grazie di cuore a chi non ha regalato in questi anni la tv ai maître à penser della domenica.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.