Foto di Giuseppe Lami, via Ansa 

lo scambio

La giornata parallela di Renzi e Calenda: intervista doppia ai due litiganti

Valerio Valentini

Perché il Terzo polo non esiste più? "Follow the money" dice il leader di Azione. È arrivato tutto "a freddo, in maniera in aspettata", ribatte quello di Iv. "Siamo un branco di pazzi", dice Ettore Rosato 

Eccoli, dunque. A distanza di pochi metri l’uno dall’altro, ai lati opposti di un gruppo che è talmente esiguo che pare assurdo lo si voglia dividere ancora. Uno ha appena comprato due pacchetti di Marlboro, la riserva delle giornate pesanti. L’altro armeggia col tablet. Volti scuri, entrambi. Si evitano. Carlo Calenda e Matteo Renzi, perfetti sconosciuti. Nel mezzo, tra loro, i senatori del fu Terzo polo. “Follow the money”, dice il leader di Azione a chi gli chiede il senso di questa rottura senza senso. Come insomma che il tutto sia un problema di cassa: “Quella che Renzi non ha voluto cedere al partito da fondare”. Renzi racconta invece che per lui tutto è arrivato “a freddo, in maniera inaspettata”. E pare davvero averla subita, questa manovra, l’ex premier, se è vero che ancora mercoledì pomeriggio, quando pure in tanti consideravano già consumato lo strappo, spiegava che “Carlo è in grado di litigare per nulla, ma poi di solito per nulla fa la pace”.

Non stavolta. “E certo, perché Matteo voleva fregare pure me, tenersi le mani libere e i soldi pronti per chiamarsi fuori alla bisogna”, insiste Calenda. Che pure, certo, quando lanciava la federazione tra Azione e Iv doveva sapere che aveva a che fare non esattamente con un’educanda. “E infatti sono stato abituato a fare business anche con persone di cui non ci si fida per nulla, a patto di avere delle garanzie blindate, scritte nero su bianco”. E certo, con queste premesse, cosa sarebbe potuto non andare storto?

“Il problema è un altro”, dice Renzi ai suoi parlamentari, riuniti via Zoom dopo pranzo, mentre l’altro già, dalla sua sede di Azione, quella che dovrebbe ospitare nel tardo pomeriggio l’estremo tentazioni di riconciliazione, registra un video per certificare il divorzio. “Il problema è che Carlo, e chi gli sta attorno, sono andati in tilt quando hanno capito che ci sarebbe stato un altro candidato al congresso”. Si parla di Luigi Marattin, forse il nome coperto era quello di Lella Paita. Conta poco, ormai. “Ma come? Già si fa un congresso saltando i livelli territoriali. Dopodiché, si deve anche evitare di presentare candidature alternative? Ma che congresso è, allora?”. L’altro ribatte: “Ha rimosso ogni riferimento al mio nome e al mio simbolo dai suoi profili social un’ora dopo le elezioni. Un’ora dopo, capisci? Si vede che proprio era in apnea”.

E insomma, da un lato e dall’altro, tutta una serie di imprendibili allusioni, accuse, contestazioni di merito. I grillini della prima ora litigavano rinfacciandosi gli scontrini della buvette via Facebook. Calenda e i vertici di Iv, che pure dello scimunismo a cinquestelle pretendono d’essere l’antitesi, finiscono col postarsi l’uno sul grugno degli altri cervellotici commi di presunti statuti con contorte indicazioni sul due per mille. Roba che chi gli vuol bene dovrebbe togliergli gli smartphone. “Ma questo è tutto fumo”, conviene Renzi.

Come a dire che la politica è altrove. Ma dove? “Ma è normale che lui, Renzi, intrattiene rapporti con Forza Italia senza dirmi niente? Se il leader sono io – intigna Calenda – la linea politica la si decide con me”. E invece? “E invece sta sempre lì a parlare con Verdini, e poi si scrive con la Santanchè. E crede che io non vengo a saperlo, poi. Senza contare l’incarico al Riformista preso senza dirmi niente. La direzione offerta ad Andrea Ruggieri…”. Renzi, confessa? “Ho fatto di tutto, per togliermi dai riflettori. Non un passo indietro, ma quindici. Poi però perfino la Leopolda vuole abolire”. 

Alle otto di sera, a cose fatte, Calenda rilancia la campagna di tesseramento ad Azione. Fa promozione sulla scissione? Per Renzi, è la prova che “tutto era preparato”. “Ma no, la campagna era già aperta”, dice Calenda. Ettore Rosato, lasciando Montecitorio, allarga le braccia: “Siamo un branco di pazzi”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.