(foto Ansa)

Il caso

Perché il no di Calenda alla Leopolda è un altro passo verso la rottura del Terzo polo

Luca Roberto

Il leader di Azione chiede all'ex premier di rinunciare alla convention fiorentina per far nascere il partito unico. Ma per i renziani è difficile chiudere un pezzo della loro storia. "Ci mettiamo un minuto a fare un nuovo gruppo al Senato"

L'hanno descritta come tutta una contesa di soldi, uno scontro di caratteri inconciliabili, uno squilibrio di visioni. Ma forse la rottura che si sta consumando nel Terzo polo è anche semplicemente una questione di simboli. Ché nell'epoca della politica liquida, dei partiti leggeri, del voto volatile, si sa che funzione abbiano i riti e i luoghi e la loro ostensione: spesso e volentieri sono tutto, sostituiscono l'identità stessa di una forza politica.

Così mentre ieri pomeriggio Carlo Calenda convocava il comitato politico che fa sedere allo stesso tavolo i principali esponenti di Azione e Italia viva, e mentre contestualmente Matteo Renzi nominava l'ex deputato berlusconiano Andrea Ruggieri alla guida del Riformista in qualità di direttore responsabile, si registrava uno degli strappi più irreparabili tra i due. Di quelli che poi è difficile non preludano all'arrivederci e grazie. 

 

"Niente più Leopolda", ha detto Calenda ai renziani nel corso della riunione. Insomma, dovete rinunciare a una parte del vostro passato per fare un salto nel futuro, guardare al partito unico, "perché se vogliamo tenere in vita tre partiti diversi ci dividiamo e amici come prima". Solo che per l'universo che gravita attorno all'ex premier fiorentino non è che si tratti proprio di un passaggio a cuor leggero. E c'è un dettaglio che lo conferma. Perché al di là di come finirà il percorso verso il soggetto unitario, che anche ieri ha visto riaffermare come orizzonte il prossimo ottobre, Renzi starebbe pensando di organizzare una nuova edizione, sarebbe la dodicesima, della kermesse organizzata nella storica stazione di Porta al Prato, a Firenze. La data sarebbe quella del marzo 2024. Ma è evidente che se continua e esistere la Leopolda, l'elefante nella stanza è la persistenza di Italia viva. Da qui i sospetti di Calenda che l'alleato stia facendo un doppio gioco per ingannarlo e soffiargli il partito.

 

Sulla Leopolda c'è tutta un'epica che riassumiamo in poche battute. Nata nel 2010 ai tempi del Renzi sindaco di Firenze, ha rappresentato da sempre la chiamata alla mobilitazione per il popolo renziano. Sopra ci hanno scritto almeno un paio di libri. Una convention all'americana con musica degli Imagine Dragons e Jovanotti sparata a tutto volume, intervallata a discorsi tra il politico e il motivazionale. Ci sono passati un po' tutti coloro che hanno condiviso un tratto di strada con Renzi, da Pippo Civati a Teresa Bellanova. Renzi non ci ha rinunciato neppure quando era a Palazzo Chigi. Il suo intervento conclusivo era sempre di domenica, all'ora di pranzo, prima del Tg1. L'anno scorso non ci fu modo di organizzarla: troppo improvvisa la crisi di governo e la convocazione alle urne di settembre. E' stata anche croce e delizia, per l'ex premier. Visto che dalla Leopolda prese piede la famosa inchiesta Open della procura di Firenze. 

Si capisce perché per il "senatore semplice di Scandicci" rappresenti una specie di sipario calato giù per sempre, e con modi e tempistiche che non aveva calcolato. Perché va bene defilarsi, lasciare a Calenda il ruolo di leader. Ma perché mai dovrei perdere questo spazio di popolo (ristretto), questa connessione sentimentale con la mia gente? Sono questi i pensieri che lo animano in queste ore. "Chi conosce quell’esperienza sa che è un momento bello di confronto politico tra generazioni e storie diverse. È un momento in cui tante persone si avvicinano alla politica. Dire che non può essere più fatta la Leopolda non ha senso. La facciamo con migliaia di volontari dal 2010, non vedo perché dovremmo smettere di farla oggi in un momento in cui la politica va difesa dai populismi e dai sovranismi", ha scritto oggi su Twitter.

Persino sulle altre condizioni poste da Calenda - tra cui il divieto di conflitto di interessi che gli impedirebbe di ricoprire nuovi incarichi nel nuovo partito qualora continuasse con l'attività di conferenziere in giro per il mondo (soprattutto arabo) -, Renzi aveva dato il suo beneplacito. 

 

Alla fine forse è più questo, più dei soldi, dei 200mila euro oggi e del 70 per cento del 2x1000 poi, della contendibilità della leadership (si scaldavano Raffaella Paita e Luigi Marattin) ad aver convinto Renzi che il matrimonio con Calenda non è che s'ha da fare per forza. "Anche perché a farmi un gruppo autonomo al Senato ci metto un minuto". E a organizzare una nuova Leopolda, a quel punto, ancor meno. 

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