Foto di Ettore Ferrari, via Ansa 

il commento

L'inutile pasticcio unico. Calenda e Renzi devono creare spazi di idee aperti, non il partito

Giuliano Ferrara

La formula sinosovietica di un soggetto unitario era già esagerata in partenza. Eppure il centro radicale in Italia ha una lunga storia di frazionamenti. I due leader dovrebbero occuparsi di coltivare i loro giardini volterriani

Questa del “partito unico” diventerà memorabile. Partito unico. Una parolaccia ideologica, la degenerazione burocratica della dittatura del proletariato, l’ossificazione e pietrificazione sovietica e poi cinese del sistema di dominazione socialista reale, ecco che questa formula disgraziata diventa il mito, insieme con il “terzo polo”, di un ceto italiano che si vuole liberalriformista e cerca il suo spazio al centro. A volte sembra che qualcosa non vada per il verso giusto, che ci sia un Dio del cosiddetto sogno riformista e alternativo al bipolarismo il quale acceca coloro che vuol perdere, che ci vorrebbe il bonus psicologo.

 

Già aveva qualcosa di megalomane, c’era una volta il West, l’idea di competere al galoppo sulle praterie aperte una volta dalla vittoria della destra, un’altra dalla piccola diaspora di Forza Italia, un’altra volta dalla occupazione del Pd da parte di non iscritti che non hanno finito nemmeno di diplomarsi ma pretendono la laurea in movimentismo con un linguaggio da assemblea d’istituto. Ma il partito unico addirittura, un apparato con le sue regole ferree e i suoi gosplan, un soggettone che ingabbia le truppe in dinamiche congressuali da ufficio politico allargato, magari con i membri supplenti, come risultante di chissà quale processo di unificazione blindata di formazioni che si volevano aperte, che sono prive di una tradizione sindacale, di un radicamento vero in un blocco sociale, fondate solo sulla legittima aspirazione a un minoritario consenso d’opinione, anche meritato e qualificato in alcuni casi, questa è proprio grossa.

 

Ma a chi è venuta in mente questa formula sinosovietica o mongola o da Repubblica democratica tedesca da adattare ai percorsi di Calenda e Renzi e dei loro sostenitori?

 

Eppure c’è una lunga storia di frazionismo del centro radicale, liberale, riformista in Italia. Una storia ben conosciuta, raccontata mille volte, che parla di ambizioni sfrenate ridimensionate in baruffe, esclusivismi, profetismi, avventurismi solitari, e perfino celebri unificazioni falce martello e sole nascente all’epoca del centrosinistra fra tronconi separati dell’unica tradizione socialista che misero capo al nulla burocratico e finirono in crisi politica e elettorale anche prima di cominciare. Da noi nei decenni procedevano nella consociazione e nell’opposizione reciproca, dividendosi su ogni fronte potere e egemonia, cultura e idee, patti e compromessi, bandiere e testimonianze ideologiche e storiche, sogni e incubi, forze rilevanti che facevano capo alla Chiesa cattolica, alla tradizione popolare, alla chiesa sovietica e al movimento operaio di una volta.

 

E le sole due esperienze di svincolamento con qualche successo furono la strategia carismatica, personale, da guru, di Pannella, instancabile ideatore di metafore settarie ma popolari e distruttore di partiti come pochi altri, fondata sui referendum e la laicità costituzionale; e la sapiente orchestrazione degli interessi e dei valori della borghesia progressista laica da parte di La Malfa, capace di dare, attraverso le alleanze di un gruppo coscientemente minoritario e influente, un senso politico a tutto, dal centrismo degasperiano cui si associò al centro-sinistra di cui si fece mallevadore fino all’integrazione dei comunisti nel sistema democratico e europeo e nell’economia di mercato. Sono cose note, studiate, raccontate mille volte, ancora fresche nella memoria dei meno giovani.

 

Calenda e Renzi dovrebbero coltivare i loro giardini volterriani, i loro club, inventarsi uffici studi, dirigere e creare giornali, stabilirsi in luoghi di discussione aperti, promuovere gruppi dirigenti potenziali nell’impresa, nel sindacalismo, nella scuola, nel sistema universitario, nelle fabbriche di cultura, nelle miniere esplosive delle nuove tecnologie, dichiarare e condurre campagne di opinione sui più vari temi, come a tratti sembravano voler fare, prima della fissa del partito unico, e invece si ritrovano alle prese con i dolori e le noie del congresso, delle incompatibilità, della proibizione della Leopolda, dello statuto, del codice univoco commerciale di un partito duro e forse inutile da partorire, però unico. Mah.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.