I guai nel Terzo polo

Lo strano caso Renzi-Calenda: prove di divorzio senza matrimonio

Gianluca De Rosa

Quelli di Azione vogliono lo scioglimento di Italia viva. I renziani replicano: "Hanno paura di un congresso aperto"

C’è chi provando a riderci su la dice così, con una battuta: “Italia viva deve morire”. E’ questa in sostanza la condizione che Azione e Carlo Calenda chiedono a Matteo Renzi e a Italia viva per convolare a nozze nel partito unico dei liberal-democratici. Contratto prematrimoniale per evitare trappole e tranelli. Dopo un giorno di sfiancanti botta e risposta a suon di dichiarazioni, veline e comunicati tra le due forze che dovrebbero unirsi la domanda è questa: il Terzo Polo si è già spaccato? Di certo nessuno vuole intestarsi il divorzio prematuro, il quasi aborto della promessa casa dei liberali italiani. Al cronista che ieri gli chiedeva della rottura ormai quasi sancita Calenda replicava sminuendo: “Ma figuriamoci”.  Da Italia viva, pur ammettendo frizioni, rivendicavano la strada già imboccata. Per dirla con Maria Elena Boschi: “Abbiamo scelto di fare un partito unico e abbiamo già definito le date. Noi non cambiamo idea e lavoriamo in questa direzione”. Il congresso dovrebbe svolgersi il prossimo 10 giugno.

 

E però il leader di Azione è sospettoso. Gli incontri preliminari per superare il nodo sono saltati e, dicono i suoi, perché i renziani non si sono presentati. Calenda teme che l’ex presidente del Consiglio e neo direttore del Riformista voglia scaricarlo, d’altronde non a destra gli acciacchi del Cav. hanno indotto a pensare alla sua eredità politica. Ci sarebbero diversi indizi a confermare queste paure. Non solo il dinamismo di Renzi che solo pochi giorni fa ha annunciato il suo arrivo al Riformista – “uno deve decidere se nella vita fa politica o informazione. Quando telefona Renzi mi parla del partito o mi intervista per il Riformista?”, polemizzava ieri il vice di Calenda Matteo Richetti –, ma anche e soprattutto la scelta del senatore toscano di non sciogliere Italia viva. Nel 2022 ha raccolto quasi un milione di euro dal 2 per mille e continuerebbe a farlo quest’anno. Negli scorsi giorni è stato lanciato il tesseramento 2023  (oltre al nuovo 2 per mille dunque anche adunata delle truppe in vista del congresso). Lasciare in vita il partito, è la versione dei calendiani, offrirebbe a Renzi anche autonomia politica. La libertà, in caso di eccessivi diverbi, di poter tornare in un rifugio sicuro con sede e casse piene. “Se ci credi – è l’accusa all’ex premier – il portafoglio non lo tieni per te”.

 

E d’altronde è proprio da qui che ieri  Azione, con una dichiarazione anonima alle agenzie, ha dato il via alla danze del cerino: chi sta uccidendo il Terzo Polo? Non noi! “La pazienza del gruppo dirigente di Azione si è esaurita”, si leggeva in un dispaccio dell’Ansa. “In settimana si capirà se questo nodo si potrà sciogliere. Se così non sarà il partito unico non potrà nascere. Il problema oggi è che Renzi non vuole prendere l’impegno a sciogliere Italia Viva e a finanziare il nuovo soggetto e le campagne elettorali”. Dopo una riunione tra Calenda e i parlamentari di Azione nel pomeriggio la linea è stata confermata e affidata alle dichiarazioni meno arrembanti, ma non meno nette di Maria Stella Gelmini: “Il progetto non deve interrompersi, è evidente però che la nascita del partito unico presuppone che i nostri singoli soggetti di provenienza vengano sciolti”. Per tutto il giorno da Italia viva nessuno ha smentito il punto. Francesco Bonifazi, già tesoriere del Pd renziano e oggi uomo del salvadanaio di Iv, si è limitato a sottolineare: “Abbiamo già contribuito al momento per oltre un milione e 200 mila euro, soldi spesi nella stragrande  maggioranza dei casi per affissioni elettorali recanti il volto e il nome di Calenda”, promettendo inoltre che il futuro 2 per mille del partito “andrà ovviamente alla struttura legittimata dal congresso democratico”.

 

Inoltre i renziani, che ieri sera si sono riuniti con il leader alle 21.30 proprio per parlare di partito unico, hanno offerto, in un profluvio di dichiarazioni quasi identiche, una versione diversa della storia. Accusano Calenda di non volere un congresso vero, ma una semplice assemblea che certifichi la sua leadership. “Ha paura di un confronto aperto perché noi siamo più radicati”. Il candidato segretario da contrapporre a Calenda in questo sempre più ipotetico confronto sarebbe il deputato Luigi Marattin. Da Azione smentiscono però anche questa versione: “Il congresso contendibile va bene, ma Italia viva deve sciogliersi”.