(foto EPA)

oltre gli slogan

Non male il liceo del made in Italy proposto da Meloni

Maurizio Crippa

Lo ha inventato Renzi, non serve ma fa paura alla sinistra che odia la scuola professionale

Ci sono due cose nelle riforme “made in Italy” su cui non si sbaglia (quasi) mai: uno, le ha già fatte Renzi; due, non hanno funzionato. Caso di scuola è appunto la fantomatica, ma già famigerata (le matte risate per il “marchio anglista così poco rampelliano”), creazione del “liceo del made in Italy”. Chi ha un po’ di memoria ricorda la Buona scuola; per chi non l’ha c’è il puntuale memo del sindacato dei dirigenti scolastici, che ha spiegato che “esiste già, è uno degli 11 indirizzi dell’istruzione professionale istituiti dalla legge 107/2015”.

 

Che non abbia granché funzionato sta nei numeri, dicono i dirigenti scolastici. Tanto che ora ci si agita per una “novità” annunciata persino in campagna elettorale. La differenza, non da poco, è che per Renzi “made in Italy” era soprattutto valorizzare le risorse culturali, mentre Meloni guarda più al territorio: diritto, economia, tecniche di marketing, tutela dei brand. Ma di fronte a un’idea di innovazione scatta sempre e comunque un’opposizione pavloviana, tale da far sospettare, per converso, che l’idea non sia poi così scema. All’epoca di Renzi Tomaso Montanari si scagliò contro il “Made in Italy e lo storytelling” (ahi ahi! Montanari rampelliano ante litteram). Un conservatore snob: “Il patrimonio culturale, la Ferrari e il parmigiano (tutto sullo stesso piano)”. Oggi a fare fuoco di sbarramento c’è tutta la sinistra. Si evoca persino “la battaglia del grano”. In verità Meloni ha solo invitato gli studenti degli istituti agrari a essere orgogliosi, “è il vostro il vero liceo, quello più profondamente legato alla cultura italiana”. Ed è significativo che a criticarla siano gli stessi che frignano perché i meno abbienti non hanno accesso al classico o, alternativamente, perché il classico è troppo difficile.

 

Invece, renzianamente parlando, sarebbe davvero così assurdo provare a “valorizzare il legame che esiste tra la nostra cultura, i territori e la nostra identità” (questa è Meloni)? La nostra scuola classista – perché bloccata dal vecchio disprezzo della sinistra verso l’istruzione tecnica – è afflitta da una pletora di indirizzi e sigle assurde. Il lunare “liceo socio-psico-pedagogico” è stato sostituito dal liceo delle scienze umane, ma la riforma del 2010  portò alla creazione suppletiva del liceo musicale e coreutico e di quello delle scienze applicate (vulgaris: scientifico di serie B). Perché la scorciatoia di fare “todos liceales” è sempre stata la via ideologico-burocratica per fingere un upgrade sociale inesistente. Si sono moltiplicati i nomi dei tecnici, con tanto di indirizzi come “sistema moda” o “trasporti e logistica”. Nella maggior parte dei casi solo un cambio di carta intestata da applicare a una scuola sempre più spaccata tra il disinteresse per la formazione concreta e l’irrealtà delle sigle: i “Ptof”, i “Pon” gli “AD / Animatore digitale”, “Bes / Bisogni educativi speciali”, “Dps / Documento programmatico per la sicurezza” e altre sovietizzazioni di una scuola ridotta a finzione didattica. Perché mai dovrebbe essere così grave, anzi offensivo, un nuovo indirizzo che insegni a valorizzare, a qualsiasi livello, la ricchezza del paese? Domanda senza risposta, una volta che siano buttate nel cestino le strida garrule e disinformate dei giornali. Con un piccolo corollario. Meloni ha accusato la sinistra di aver sempre trascurato la formazione professionale. La sinistra invece prova ad attribuire la colpa ai governi di destra, che indubbiamente non hanno mai fatto granché. Ma se c’è una cosa acclarata e innegabile è che la stessa esistenza delle scuole tecniche è sempre stata invisa alla sinistra come una forma di selezione classista. La sinistra che secondo Piero Ichino ancora oggi “appare indifferente, distratta” verso questa istruzione.

 

Ci si è sempre limitati a condannare la scuola perché “chiede a preadolescenti di 13-14 anni di scegliere tra un indirizzo liceale, tecnico o professionale”. Senza invece provare mai a valorizzarle, quelle scelte. Per non parlare dei corsi professionali, cui la sinistra ha sempre fatto guerra “di classe” (vero, care scuole salesiane?). Fino all’ex ministro Patrizio Bianchi che nel riordino delle scuole professionali (indicazione del Pnrr) voleva però inserire anche la filosofia (sennò è scuola di serie B?). Per non dire dell’odio per l’alternanza scuola-lavoro. La scuola è bloccata, ma tranquilli: ora si potrà dare la colpa al “liceo del made in Italy”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"