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A proposito di Elly Schlein. Conversazione tra Castagnetti e Cuperlo

Simone Canettieri

La segretaria del Pd per loro è un ufo. Un oggetto non ancora identificato, e chissà se mai lo sarà. Lei, intanto appare e scompare. Se la ride sempre con i suoi pantaloni a zampa di elefante dai colori psichedelici

“Eh, caro Gianni: sono tempi così, ma hai visto i capigruppo eletti per acclamazione?”. Risatina bonaria. “Ah, caro Pierluigi, sai che proprio oggi ho riletto, perché me lo hanno mandato, un articolo sulla Stampa di Norberto Bobbio sul congresso di Craxi a Verona. Sai cosa scriveva? Che l’elezione per acclamazione è la morte della democrazia. Bobbio”. Cosa succede se in Transatlantico un vecchio democristiano di sinistra e l’ultimo segretario della Federazione italiana giovanile dei comunisti italiani si incontrano? Semplice: parlano di Elly Schlein, e dello spirito del tempo. Pierluigi Castagnetti e Gianni Cuperlo sono i portatori delle due culture politiche che hanno impollinato il Pd. Dal centro e dalla sinistra.   “Elly non ha in mente il partito come lo conoscevamo noi, ma una formazione movimentista leggera che risponda colpo su colpo a Meloni sui temi senza forse una strategia ampia”, dice Cuperlo, con il fare garbato e il sorriso nobile da intellettuale mitteleuropeo qual è. “Mi avevano chiesto di entrare in direzione, ma ho preferito declinare l’invito. I padri nobili possono stare anche fuori, se ascoltati certo”, aggiunge Castagnetti, una carriera che si snoda nella Prima repubblica con don Giuseppe Dossetti e arriva fino a Benito Zaccagnini e Mino Martinazzoli. “Ho parlato con Elly”, dice l’ex Popolare e poi fondatore della Margherita e del Pd. E cosa le ha detto? “Mi sta chiedendo se è stata ricettiva? Non credo, è stata cortese, questo sì. Diciamo che mi ha ascoltato”, riprende Castagnetti, con fare saggio ma anche abbastanza disincantato.

   

“Credo che a Elly interessi poco anche dei capigruppo, al di là del cambio in quanto fatto politico dovuto. Secondo me, caro Pierluigi, ripeterà quanto già visto con Meloni nella scorsa legislatura: sarà la leader dell’opposizione. E poi si vedrà, per ora le basta questo”, dice ancora Cuperlo, che si è candidato anche alle ultime primarie in quota sinistra pensante e pesante (il deputato triestino di solito ha sempre una fantastica citazione colta da regalare ai presenti o un aneddoto di “Quando”, e qui sembra di stare nell’ultimo film di Walter Veltroni, c’era ancora il Pci).

   

“Io continuo a fare a politica anche fuori da qui, mi piace e mi diverto”, aggiunge Castagnetti, salutato con affetto da molti, appena varca il corridoio dei passi perduti. Ecco, si avvicina per esempio Luciano D’Alfonso anche lui sembra preoccupato, ma forse scherza, dalla piega che ha preso il nuovo Pd. “Presidente, Castagnetti non ci resta che pregare e istituire un gruppo di preghiera, magari da me in Abruzzo”. “Quelle, le preghiere, vanno riservate per cose serie”, dice saggio il cattodem a cui spunta un sorriso.

   

Schlein per loro è un ufo. Un oggetto non ancora identificato, e chissà se mai lo sarà. Lei, intanto appare e scompare. Se la ride sempre con i suoi pantaloni a zampa di elefante dai colori psichedelici. Va di fretta, saluta, sorride.

   

Dopo questa conversazione-apologo sul Pd la coppia si divide. Cuperlo ritorna alle sue letture sui divanetti della Camera (starà leggendo l’adorato Rainer Maria Rilke, il poeta de “il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada”?). E per scrupolo si tenta la fatidica domanda: presidente Castagnetti, le va di fare un’intervista? “Allora per il momento no. E per due motivi. Il primo è che, erroneamente, tutte le volte che dico qualcosa c’è chi tenta di collegare il mio pensiero a quello del mio amico Sergio Mattarella. E non è così”. E la seconda? “Non voglio passare per chi inizia subito a criticare il nuovo corso del Pd. Cosa dovrei commentare ora i nuovi capigruppo? Preferisco se mi va, ogni tanto, scrivere qualcosa su Twitter. Adesso scusatemi, ho un appuntamento con Arturo Parisi”.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.