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Altri soldi alla Libia e teoria del complotto russo: ecco la politica migratoria del governo

Luca Gambardella

Il buco nero dei finanziamenti alla Guardia costiera di Tripoli e le accuse di Crosetto alla Russia, che sarebbe responsabile delle partenze dalla Cirenaica. Prigozhin replica, gli dà del “cretino”. Dopo Cutro, per Meloni è un disastro

Prima ancora dell’alba di sabato scorso, mentre un barcone con 47 migranti andava alla deriva a circa 100 miglia a nord di Bengasi, la centrale operativa del Comando generale delle Capitanerie di porto di Roma – l’acronimo è Mrcc –  tentava di mettersi in contatto con Tripoli. Verosimilmente, il numero di telefono digitato dalla Guardia costiera italiana riportava all’utenza di un anonimo appartamento situato da qualche parte a Piazza dei Martiri, nella capitale libica. E’ da questo pseudo comando centrale allestito alla buona che gli agenti libici hanno negato in via arbitraria la loro disponibilità a intervenire per portare in salvo i naufraghi, asserendo di non avere a disposizione abbastanza mezzi. Poi, in serata, il mare grosso ha ucciso 30 persone, lasciando a tre cargo privati l’onere di soccorrere i 17 superstiti.

Nonostante i 57 milioni di euro spesi dalla Commissione Ue attraverso il ministero dell’Interno italiano, soggetto attuatore del finanziamento, la Guardia costiera libica non dispone ancora di un comando centrale. Non è un dettaglio per un paese che, dal 2018, si è dotato di una zona Sar riconosciuta dall’Europa e dall’Imo, l’Organizzazione marittima internazionale. Lo scorso novembre la Commissione  aveva ammesso che il centro di comando a Tripoli non era ancora operativo. Impossibile allora attendersi un reale coordinamento con i libici nella sorveglianza del Mediterraneo. D’altra parte, l’aiuto italiano ed europeo alla Libia per la fornitura di motovedette non è mai mancato. Né mancherà in futuro, secondo quanto annunciato da Ana Pisonero, portavoce della Commissione Ue: “Non posso dare annunci rispetto alle tempistiche, ma c’è necessità di rafforzare la capacità libica, perché non sempre hanno i mezzi”. Il mese scorso, ai cantieri navali di Adria, il ministro dell'Esteri Antonio Tajani ha consegnato alla sua omologa libica Najla el Mangoush la prima di altre tre motovedette classe 300.

 

La commessa da 8 milioni di euro rientra nel progetto europeo Support to Integrated Border and Migration Management in Libya (Sibmmil) del 2017 ed è solo una parte di un pacchetto di aiuti più ampio. Secondo i dati ottenuti da Irpi Media, per il triennio 2019-2022 oltre all’acquisto di 20 imbarcazioni per i salvataggi in mare, sono stati stanziati oltre 10 milioni di euro per l’acquisto di mezzi terrestri e per addestrare la Guardia costiera libica. Il governo italiano ha deciso di mantenere il riserbo su come siano stati spesi altri 8 milioni. Il monitoraggio dei finanziamenti è reso complesso anche dal fatto che sono diversi gli enti pubblici che appaltano le forniture ai libici – l’agenzia del ministero dell’Economia Invitalia, la Guardia di Finanza, la Polizia e la Marina militare – e che non è semplice risalire ai contenuti delle voci di spesa  nei bandi. 

Già in difficoltà per i finanziamenti  alla Libia e per le accuse rivolte dopo la strage di Cutro, Palazzo Chigi non ha rilasciato commenti dopo il naufragio di sabato scorso. Sebbene il barcone si trovasse in acque Sar libiche, che sono pur sempre acque internazionali, il mancato intervento di Tripoli imponeva quello di Malta o dell’Italia. Nessuno del governo ha spiegato per quale motivo le motovedette della Guardia costiera non siano intervenute. Per uscire da una situazione di difficoltà, il governo continua a citare vecchi rapporti d’intelligence. Dopo avere lanciato l’allarme la settimana scorsa con un report che parlava di oltre 700 mila persone pronte a partire dalla Libia – cifra smentita anche dal portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, Flavio Di Giacomo – il governo stavolta ha deciso di ritirare fuori un altro rapporto dei servizi del  luglio 2022 che accusava i mercenari russi della Wagner  di favorire le partenze dei migranti dalla Cirenaica. Dopo il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Massimiliano Romeo, anche il ministro della Difesa Guido Crosetto ha parlato di “una strategia chiara di guerra ibrida della divisione Wagner”.

La tesi non è mai stata provata e il calo degli arrivi di persone di nazionalità siriana ed egiziana negli ultimi mesi – dati del Viminale –  lascia intendere che le partenze dalla Cirenaica siano diminuite e non aumentate. In serata, con un audio sul suo canale Telegram, il capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha replicato Crosetto definendolo “uno stupido” che “dovrebbe guardare meno in altre direzioni e occuparsi dei suoi problemi, che probabilmente non è riuscito a risolvere. Noi non siamo al corrente di ciò che sta succedendo con la crisi migratoria, non ce ne occupiamo, abbiamo un sacco di problemi nostri di cui occuparci”.     

Nell’imbarazzo comunicativo è incappata anche l’Ue. Peter Stano, portavoce della Commissione, ha provato a spiegare perché sabato scorso non sia intervenuta Irini, la missione aeronavale che ha fra i suoi compiti anche quello di smantellare le reti del traffico di esseri umani. “Irini non opera nelle acque libiche, dove le operazioni di ricerca e soccorso sono autorizzate solo per le imbarcazioni libiche”, ha detto. Ai cronisti che gli facevano notare che il barcone si trovava in acque internazionali, il portavoce ha glissato: “Chiedete alla missione”. Il rimpallo di responsabilità maschera lo stesso dilemma che affligge Roma e Bruxelles su come liberarsi delle accuse di omissioni e compiacenze nelle tragedie in mare: incolpare gli alleati libici foraggiati per anni oppure, in alternativa, autoaccusarsi.
 

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.