Dopo le primarie

La prima sfida di Schlein è tenere unito il Pd

Ruggiero Montenegro

L'elezione della nuova segretaria è vista con scetticismo dai riformisti. "Abbiamo ammazzato il partito", dice Guerini. "Amareggiati e preoccupati", la parole di Alfieri. E Gori: "Dipenderà da lei. Ci sono dei rischi". Anche i Popolari pronti a smarcarsi

Il paradosso, alla fine, è che proprio la mozione in grado di riportare a casa i fuoriusciti di Articolo uno, tra Speranza e Bersani, rischi di produrre nuove e dolorose fratture. All’indomani delle primarie, del successo di Elly Schlein e della virata a sinistra del Partito democratico, al Nazareno ci si interroga su quel che sarà. Su una transizione e un riposizionamento che potrebbe non essere indolore.

Sono ragionamenti che corrono tra chi ha sostenuto la deputata italo-svizzera, ma che riguardano anche, e forse soprattutto, gli sconfitti. “Abbiamo ammazzato il Pd”, ha dichiarato – lo riporta il Corriere – Lorenzo Guerini, l’ex ministro della Difesa e leader della corrente Base riformista, quella più vicina a Renzi.

La sua frase, laconica, riassume bene i sentimenti e la delusione del comitato che spingeva Stefano Bonaccini. Che pure, ieri sera a caldo, ha riconosciuto la vittoria dell’avversaria, mettendosi a disposizione. Ma per i cosiddetti riformisti le conclusioni potrebbero essere altre. "Tanti di noi sono amareggiati. E molti sono preoccupati anche delle dinamiche che, se non gestite, può innescare l'esito del voto", ha scritto in un post il senatore Alessandro Alfieri, assicurando: "Sarò, saremo leali con la nuova segretaria". Non si tratta però di un assegno in bianco - spiega Alfieri - conterà il riconoscimento del  "profilo riformista, popolare", il rispetto "delle varie sensibilità".  Sono gli stessi dubbi evocati Gorgi Gori. "Schlein? Dipenderà da lei se sarà ancora il mio partito. Dovrà avere le capacità di valorizzare le diverse energie ", è la risposta del sindaco di Bergamo che vede "le potenzialità" di questo nuovo corso, ma "certamente ci sono anche dei rischi".


Molto dipenderà, appunto, dalla postura che terrà Schlein, quanto sarà radicale nelle scelte e quanto concederà in termini di contrappesi. “Non sono una rottamatrice”, ha dichiarato a più riprese la nuova segretaria durante la campagna per queste primarie. Chissà se basterà a rassicurare i delusi dei gazebo. Scissione? “Non esiste, si lavora tutti uniti”, ha esorcizzato in pubblico Francesco Boccia, coordinatore della mozione "Parte da noi". Ma non a tutte le condizioni. “Se la svolta è passata, non si può annacquare”, avrebbe confidato il senatore pugliese ai collaboratori più stretti. “E se il significato di questa svolta è radicale, lo sarà anche la gestione”, è il senso del ragionamento che per ora si pronuncia a mezza bocca. Niente prigionieri insomma.

E sarà anche per questo che la quota Popolari, che già in tempi non sospetti aveva avanzato riserve rispetto al cambio di passo in chiave antiliberista, ha già ieri sera fatto sapere di non gradire affatto l’esito di questo Congresso a guarderà altrove, verso il Terzo Polo magari, che ha iniziato a mandare segnali. Giuseppe Fioroni intanto, ex dirigente della Margherita e tra i fondatori del PD, ha annunciato l'addio al partito.


L’Ucraina

Una prima questione essenziale per la nuova geografia dem sarà quella che riguarda il sostegno all’Ucraina. Forse l’unico tema su cui Enrico Letta era riuscito a tenere unito il partito. Schlein ha dichiarato in tempi non sospetti di essere a favore dell’invio di armi "finchè c'è bisogno”,  aggiungendo anche che “da pacifista non credo che la guerra si risolva con le armi". Una posizione che qualcuno ha letto come l’anticipazione del tentativo di smarcarsi, preambolo chissà di un’intesa da ricercare con M5s e Sinistra italiana. Un cambio di linea sarebbe difficilmente digeribile dai riformisti guidati da Guerini, e non solo da loro. A gennaio, alla Camera, Schlein aveva votato il dl Ucraina insieme al resto del gruppo, ma non erano mancate le defezioni, per esempio tra gli eletti in area Articolo uno.


Gli equilibri interni

C’è poi il fatto che, per la prima volta, il voto dei circoli è stato sconfessato dall’investitura popolare: tra gli iscritti al partito Bonaccini aveva raccolto il 52,87 per cento contro il 34,8 di Schlein. Situazione ribaltata, ma di cui inevitabilemte si dovrà tenere conto. Così come altri cambiamenti potrebbero riguardare i volti apicali in Parlamento. Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, capogruppo alla Camera e al Senato, hanno infatti sostenuto il presidente dell’Emilia-Romagna e si ragionerà anche sul loro ruolo.

 

Fuori dal Pd

Nodi, e frizioni, per ora solo evocati ma che presto potrebbero diventare questioni da affrontare seriamente. Anche perché intorno al Pd qualcosa già si muove. E se Giuseppe Conte già si offre come sponda – “Gli elettori Pd hanno chiesto un cambiamento rispetto a chi ha barattato le misure del Conte 2 con la vuota agenda Draghi” – dal Terzo Polo è partita la caccia ai delusi. “Compresa quella parte riformista e liberale che ora non ha più motivo di restare”, ha detto ieri sera, a caldo, Carlo Calenda. Che questa mattina è stato ancora più chiaro: "Domani partirà un cantiere aperto e inclusivo per arrivare a un partito unico. Porte aperte."

 

 

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