L'editoriale

Fine del partito argine. Ecco la sfida che attende il Pd di Elly Schlein

Claudio Cerasa

Un partito ostaggio della vocazione minoritaria incapace di emanciparsi dal modello della sinistra socialconfusa e desideroso di sfidare la destra fuggendo dalla realtà. Perché la vittoria di Schlein è una buona notizia per chi sogna di avere un Pd più debole

La clamorosa vittoria di Elly Schlein alla primarie democratiche è insieme una cattiva notizia per il Partito democratico e una buona notizia per tutti coloro che negli ultimi mesi hanno immaginato quello che ora potrebbe diventare realtà: la possibile trasformazione del Pd in una costola del Movimento 5 stelle, lo slittamento verso sinistra di un partito che oggi sceglie di rinunciare a buona parte del suo profilo moderato e la scelta di non fare i conti con una nuova fase storica in cui il Pd non può più essere quello che è sempre stato: il partito argine. Essere il partito argine, per il Pd, in questi anni ha permesso di coltivare una rendita di posizione certa e ha consentito ai vari segretari del partito di essere via via considerati, pur con tutti i loro difetti, dei segretari diga. Una diga contro l’anti europeismo degli avversari. Una diga contro l’anti atlantismo degli avversari. Una diga contro il fascismo degli avversari. Una diga contro il populismo veicolato da un qualsiasi esponente politico incapace di rispecchiarsi nelle idee del Pd. Se non la pensi come il Pd, se non hai le nostre stesse idee, se non hai la nostra stessa visione del mondo, se non hai i nostri valori, hai buone possibilità di essere un politico con un passo fuori dall’arco costituzionale.

Ovviamente esageriamo, ma la forza del Pd, in questi anni, è stata principalmente questa, è stata quella di essere il partito argine, o se volete il partito anti, ed è stata quella di essere il partito del buon senso, il partito del turiamoci il naso visti tutti gli altri, sulla base di un ragionamento che oggi non funziona più: i nostri avversari sono populisti, populisti dichiarati, e il semplice fatto di non essere populisti, per noi, ci consente di ottenere di default i voti necessari per essere competitivi. La traiettoria imboccata da Meloni nei suoi primi quattro mesi di governo ha messo di fronte al Pd  una realtà molto diversa caratterizzata da una novità importante: il tentativo progressivo dei vecchi populisti di rimuovere le principali macchie populiste dal proprio grembiule ha costretto i rivali del centrodestra a dover aggiornare il proprio vocabolario delle polemiche, e più gli avversari di Meloni & Co. utilizzeranno il pilota automatico per denunciare gli orrori dei propri rivali, come rischia di accadere con un Pd guidato da Schlein, più buona parte dell’elettorato tenderà a considerarli sempre di più fuori dal mondo. Si può accusare questo governo di essere anti europeista? E’ dura. Si può accusare questo governo di essere un pericolo per i conti pubblici? E’ dura. Si può accusare questo governo di essere fascista? E’ dura.

 

Dunque, che fare? Il nuovo Pd che nascerà oggi, per fare i conti con il suo carattere minoritario, carattere minoritario che è la cifra stilistica del Partito democratico, che prima del governo Meloni ha governato dieci anni su undici e che a parte una parentesi con Veltroni (2008) e una con Renzi (2014) non ha mai superato la soglia del 30 per cento, deve avere ben chiaro che un Pd con la testa sulle spalle ha il dovere di presidiare con forza almeno cinque terreni strategici: la difesa dell’Europa, la lotta contro le diseguaglianze, la creazione del lavoro, l’aumento dei salari, la difesa dell’ambiente. Sarà su questi temi che si misurerà la capacità del nuovo leader del Pd di incidere sul dibattito pubblico, incalzando la maggioranza di governo e imponendo un’agenda all’opposizione. E sarà su questi temi che il nuovo leader del Pd dovrà dimostrare di saper governare una stagione nuova all’interno della quale il ruolo del Partito democratico non potrà limitarsi alla riconquista dei vecchi elettori,  come si è sentito dire spesso in questa campagna elettorale, ma dovrà ambire a fare qualcosa che al Pd non riesce da tempo: catturare l’attenzione degli elettori che il Pd non lo votano. Per farlo, ovviamente, non si può prescindere dall’algebra, dalla necessità di rimettere insieme il centrosinistra tutto, dal M5s al Terzo polo, perché fin quando l’Italia sarà governata da un sistema elettorale che premia le coalizioni, non cercare di allargare le coalizioni significa molto semplicemente cercare di non vincere le elezioni.

 

Ma per farlo, chiaramente, non si potrà prescindere dall’avere una strategia diversa dal dire genericamente e supercazzolianamente – come ha fatto Schlein durante la sua campagna per le primarie, declinando una mozione infarcita di luoghi comuni (“abolire il patriarcato”), di teoremi benecomunisti (combattere il riscaldamento globale a colpi di nuove tasse) e di grandi proclami antifascisti (all’armi al governo son fascisti) – un concetto astratto come quello veicolato in questi anni dal Pd: fermi tutti, siamo noi l’Italia migliore. La sfida vera, per il nuovo segretario, non è dunque il posizionamento rispetto a ciò che è stato il Pd del passato, e non è neppure la capacità di districarsi con abilità tre i mille rivoli del Pd, ma è una sfida del tutto diversa, che riguarda una prospettiva nuova per il Pd: saper fare opposizione restando un partito più di governo che di lotta. Fare opposizione, ovviamente, significa saper individuare alcuni temi su cui costruire battaglie solide, su cui incalzare fermamente il governo, su cui criticare energicamente il presidente del Consiglio (per avere salari più alti bisogna puntare non sull’assistenzialismo, come dice Schlein ma sulla produttività; per avere più lavoro bisogna puntare non sull’interventismo statalista, come dice Schlein ma sulla maggiore libertà da offrire alle imprese; per avere una politica più rispettosa dell’ambiente, al contrario di quanto sostiene Schlein, non si può prescindere dalla necessità di un paese di salvaguardare il benessere dei cittadini e quello dell’industria).

 

Ma all’interno di questa stagione, compito del nuovo segretario del Pd sarà anche capire come riuscire a combattere la povertà senza combattere la ricchezza (cosa che vuole fare Schlein), come riuscire a occuparsi di diritti senza lasciare da parte i doveri (cosa che sembra voler fare Schlein) e come riuscire a parlare a un elettorato che ancora non c’è e che potrebbe essere un giorno quello non soddisfatto dall’azione di governo del centrodestra (cosa a cui Schlein non sembra interessata). L’iniziativa politica del Pd sarà cruciale per dare linfa al partito, per posizionare i democratici al centro di una coalizione che c’è e non c’è, e che è quella che virtualmente va dal M5s al Terzo polo, ma sarà anche cruciale per evitare che il governo possa prendere delle direzioni pericolose per il paese. E per una maggioranza minacciosa, almeno nelle premesse, avere un’opposizione che si occupa poco di fatti e molto di farfalle, come rischia di essere il Pd di una novità chiamata Schlein, è il modo migliore  per offrire al governo la possibilità di svolgere il lavoro in maniera indisturbata e per regalare all’opposizione una nuova sinistra socialconfusa. E la prova di tutto questo sta in un piccolo esperimento suggerito dallo sconfitto Stefano Bonaccini. Fateci caso. Un esponente della Lega, del M5s, di Fratelli d’Italia riesce con facilità a spiegare agli elettori qual è il suo messaggio sul futuro del paese: gli bastano trenta secondi. A un dirigente del Pd di solito, per spiegare che Italia sogna, non bastano venti minuti.

 

Ecco. Avere una nuova “segretaria” del Pd, così Schlein vuole essere chiamata, che per delineare una identità “chiara, coerente e comprensibile alle persone” ha infarcito la sua mozione congressuale di frasi epiche come quelle che abbiamo già elencato (“senza la base, scordatevi le altezze”, “la crisi della nostra democrazia non è mai stata così grave”, “dobbiamo superare il patriarcato”) e che considera prioritario per il Pd costruire la sua competizione con il centrodestra non sull’agenda della crescita economica ma sull’agenda della giustizia sociale (e dunque la legalizzazione della cannabis, l’introduzione di una tassa sulla plastica, l’introduzione di una vera carbon tax, l’introduzione di una nuova tassa sulle donazioni e sulle successioni, l’introduzione di un’ulteriore tassazione europea sulle multinazionali) rischia di proiettare il Pd verso una dimensione pericolosa che prescinderà da quella che dovrebbe essere una ovvia agenda delle responsabilità democratiche. Ovverosia, superare la stagione del partito argine, non essere un clone del M5s, non esporsi alla possibile opa del Terzo polo, combattere l’istinto minoritario, mettere da parte l’agenda delle banalità, non restare ostaggio del luoghi comuni, non lasciare l’agenda dei doveri alla destra e accettare la sfida dei trenta secondi: il futuro del nuovo segretario, più che dall’antifascismo, passa da qui. Con Schlein per il Pd sarà dura. In bocca al lupo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.