L'intervista

"Ecco cosa può fare l'Italia per Kyiv. Ed ecco perché Berlusconi ci preoccupa". Parla l'ambasciatore ucraino

Valerio Valentini

Yaroslav Melnyk racconta la visita di Meloni a Zelensky ("Un gesto da grande leader") e spiega perché le dichiarazioni del Cav. "seminano discordia in Europa, e fanno il gioco di Putin". La richiesta di una no fly zone, la critica agli opinionisti vicini al Cremlino che "parlano di pace, ma vogliono la nostra resa". Intervista a un anno dall'inizio dell'invasione russa

In certi momenti la voce gli trema ancora, quando ripensa che è già passato un anno. “Capimmo subito che non sarebbe stata una guerra veloce. Ma ovviamente nutrivamo la speranza che non si arrivasse fin qui, fino al 365° giorno”. Che invece il conflitto durerà, ancora, Yaroslav Melnyk, l’ambasciatore ucraino in Italia, lo ha compreso nel suo recente viaggio a Kyiv, dove ha accompagnato Giorgia Meloni. “Una missione molto importante: un potente segnale di sostegno all’Ucraina. Le siamo sinceramente grati: ha dimostrato forte leadership, oltreché umanità”. Poi l’ambasciatore riprende fiato. Getta uno sguardo a ciò che verrà: “Continuiamo ad aspettarci il pieno sostegno dall’Italia”. Una speranza quasi avviluppata in un timore: come che questo sostegno possa venir meno? Eccole evocate, le parole di Berlusconi. “Le sue dichiarazioni ci preoccupano profondamente perché seminare discordia ora significa aumentare la vulnerabilità dell’Europa, e questo risponde alle ambizioni russe di frammentare il continente e stabilire nuove zone di influenza”.

Perché certo, la brutalità di Mosca sta nelle bombe e nei missili. “Vediamo che la Russia non si ferma davanti a nulla: per il Cremlino c’è solo sete sanguinaria nel conquistare quanti più territori possibili, far rivivere l’Unione sovietica, scuotere l’unità dell’Europa e screditarne i valori fondamentali”. Ma la minaccia, per l’ambasciatore Melnyk, è più vasta e più penetrante. “Nella guerra, il regime russo utilizza quasi l’intero arsenale di strumenti ibridi. Punta sul sabotaggio informativo agli attacchi hacker rivolti non solo contro l’Ucraina, ma anche sul coinvolgimento attivo di cosiddetti ‘esperti internazionali’ e ‘giornalisti imparziali’”.
Non vuole personalizzare, Melnyk, e a sentirsi suggerire i nomi dei tanti filoputiniani del tubo catodico, trattiene a stento un sorriso amaro. “Dico solo che le attività di molti di questi personaggi sono chiaramente volte a disorientare l’opinione pubblica, a diffondere sospetti e generare come una sorta di sfiducia nell’animo dei cittadini italiani, e non solo, nei confronti della causa ucraina”. 

Non riguarda solo la televisione, ovviamente. Quando Volodymyr Zelensky, dopo un mese dall’inizio dell’invasione russa, parlò al Parlamento italiano, le fece utilizzando toni assai più cauti di quelli adoperati nel suo intervento al Congresso americano o alla Knesset. “Sapevamo che parlavamo a un’assemblea che, più o meno direttamente, era in larga parte filorusso”, ricorda Melnyk.

Il Parlamento attuale è forse meno sensibile al richiamo di Putin? “Quest’anno ha cambiato molte cose: non solo l’Ucraina, ma il mondo intero. E ha mostrato, peraltro, quanto efficaci possano essere, rispetto agli interessi di Mosca, le pressioni esercitate da alcuni politici europei”. Come a dire che, se si volesse, si potrebbe fare ancora di più? “Confido che l’attuale governo abbia una chiara consapevolezza che la guerra della Russia contro l’Ucraina non è un conflitto locale: rappresenta una minaccia per l’unità e la stabilità dell’Europa. Per questo, qualsiasi approccio con il Cremlino dovrebbe essere fermato”.

Ce ne sono ancora, dunque, e perdurano, i contatti tra leader italiani e Putin? “Sono certo che le ragioni alla base di alcune affermazioni pubbliche di certi importanti esponenti politici sono facili da comprendere”. E d’altronde, racconta l’ambasciatore, a lui continuano ad arrivare attestazioni di singoli parlamentari desiderosi di chiarire, talvolta perfino di dissociarsi, dopo gli inciampi diplomatici dei rispettivi leader. Succedeva con Salvini, è successo anche con Berlusconi. “Ma le dichiarazioni individuali non dimostrano affatto i sentimenti generale dell’élite politica italiana. Dopodiché, le dichiarazioni di Berlusconi hanno già avuto il giudizio che meritavano da parte dei nostri leader politici. E, soprattutto, sono state giudicate, mi pare, dal popolo italiano”. Sembrano parole di risolutezza, a riportarle. Ma c’è al loro fondo come una nota amara, di inquietudine. 
Cosa può fare, ancora, l’Italia, per l’Ucraina? “Abbiamo ricevuto un grande sostegno dal vostro paese e dalla comunità internazionale. E di questo non possiamo che essere assolutamente grati. Ma per superare il giogo russo, l’Ucraina ha bisogno di nuove armi, di munizioni e di equipaggiamento militare. Abbiamo bisogno del sostegno dei partner occidentali per chiudere i cieli prima possibile”.

Una no fly zone, dunque? “E’ fondamentale, per noi, proteggere le nostre città dai bombardamenti russi, spesso diretti su obiettivi civili. L’Ucraina perde i suoi figli ogni giorno in questa guerra brutale. Abbiamo bisogno di armi per difendere il nostro popolo, ma anche l’ordine mondiale che la Russia ha violato”. In Italia, però, cresce il fronte di chi dice che proprio con l’invio di nuove armi si indebolisce la prospettiva diplomatica. “Se c’è davvero chi pensa che interrompendo il sostegno militare si trovi la pace, allora queste persone dovrebbero trovare il coraggio di dire che non cercano la pace, ma la resa dell’Ucraina, la sua occupazione da parte della Russia. Dovrebbe confessare che hanno molto a cuore la giustizia e il diritto internazionale. E’ solo col supporto militare dell’Occidente che siamo stati in grado di liberare le regioni di Kyiv, di Kharkiv e di Kherson. Con un ulteriore sostegno, saremo in grado di liberare gli altri nostri territori”.

Oltreché di armi, si parla anche di sostegni alla ricostruzione. “Tra Roma e Kyiv c’è un  piano che coinvolge tanti settori, a cominciare da quello infrastrutturale. E’ prioritario modernizzare il sistema ferroviario ucraino, che oggi ha uno scartamento diverso da quello europeo, nonché ricostruire il sistema elettrico che alla vigilia della guerra era stato connesso con la rete continentale europea, ma è purtroppo gravemente danneggiato dai missili russi. Bisognerà ricostruire ponti e strade, scuole e ospedali, tante varie imprese di produzione in cui possono essere utilizzate le rinomate tecnologie dell’eccellenza italiana e altri prodotti e servizi tipici del ‘Made in Italy’. Deve essere rimessa in moto la macchina agricola, ammodernando le cvatene logistiche tra Ucraina e Italia, con l’utilizzo nei nostri terreni di macchinari italiani. E poi l’alta tecnologia, l’It, l’aerospazio, la siderurgia e la metallurgia”.

Si svolgerà dunque a Roma la conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina? “Sì, la stiamo programmando e si terrà ad aprile. Servirà, tra l’altro, a mettere in contatto il sistema industriale e imprenditoriale italiano con interlocutori ucraini a livello istituzionale e governativo”.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.