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dopo il voto

Lezioni dall'all-in di Meloni nel Lazio e in Lombardia

Claudio Cerasa

Sorprese, flop, duelli moderati e qualche notizia positiva per allontanarsi dalla stagione del vittimismo. Perché il risultato delle regionali conferma che l’opposizione che conta, per la premier, si trova nella maggioranza  

Vince Giorgia Meloni, tiene la Lega, resiste il Partito democratico, sprofonda il Movimento 5 stelle, delude il Terzo polo, si rafforza il governo, si allontana l’alternativa. Il risultato rotondo delle regionali nel Lazio e nella Lombardia – con una importante affermazione in entrambe le regioni del centrodestra, che da oggi è alla guida in quattordici delle diciotto regioni italiane in cui è prevista l’elezione diretta del presidente – conferma senza margine di errore che l’opposizione più pericolosa per Giorgia Meloni oggi non si trova nell’opposizione ma si trova nella maggioranza. A quattro mesi dalla disfatta delle politiche, i tre partiti che si oppongono al centrodestra, ovvero il Partito democratico, il Movimento 5 stelle e Azione-Italia viva, hanno scelto di utilizzare la tornata elettorale non per vincere le elezioni ma solo per provare a vincere il derby interno all’opposizione. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: i due partiti che avrebbero dovuto dimostrare di essere in ascesa nel centrosinistra, quelli che in teoria, secondo molti osservatori, avrebbero iniziato “un’Opa ostile” sul Pd, hanno mostrato i loro limiti e hanno raggiunto risultati diversi da quelli sperati. E’ andato male il M5s. E’ andato male il Terzo polo. E alla fine, pur avendo perso malamente in entrambe le regioni, il solo partito del centrosinistra ad aver mostrato un suo radicamento inossidabile è l’unico privo di una guida: il Pd. Fino a quando le opposizioni, in contesti dominati da sistemi elettorali maggioritari, continueranno a occuparsi più di come provare a fottere i propri possibili alleati che di come provare a fottere i propri avversari, le opposizioni continueranno a fare il gioco dei propri avversari.

 

E anche per questo, mai come oggi, è chiaro che la prima missione che avrà il prossimo leader del Pd, chiunque esso sia, non sarà solo quello di ridare smalto a un partito che oggi si muove più o meno come i cavalli scossi al Palio di Siena, ma sarà prima di tutto trovare punti di convergenza utili a creare un giorno quello che attualmente appare impossibile: un’opposizione larga che vada dal M5s e finisca al Terzo polo. In questo senso, l’all-in realizzato da Meloni in questa tornata elettorale è certamente una cattiva notizia per i suoi avversari, ma può essere una buona notizia per la stabilità dell’Italia. In primo luogo, perché il risultato delle regionali consente a Meloni di non mettere in discussione la sua politica delle grandi incoerenze. In secondo luogo, perché il risultato ricorda a Meloni che, sì, l’opposizione più pericolosa per il governo arriva certamente dallo stesso governo (vedi Berlusconi, ahinoi, sull’Ucraina) ma la presenza di una Lega uscita non umiliata da queste regionali (in Lombardia, il partito di Salvini ha ottenuto una percentuale superiore a quella delle politiche) potrebbe creare un meccanismo virtuoso all’interno della stessa maggioranza, portando i due partiti chiave della coalizione a competere su un terreno meno estremista e più moderato.

 

Infine, il risultato ricorda anche a Meloni la presenza di un fatto nuovo, ben più rilevante dei dati sull’affluenza. E il dato è questo. Mai come oggi, l’avversario più pericoloso di Meloni coincide con la presenza di un aspetto della stessa leadership meloniana che rischia di essere il vero ostacolo principale sulla rotta del governo: il vittimismo. Il vittimismo porta spesso i leader che abusano di questa pratica a fuggire dalla realtà, ad affrontare i problemi complessi con soluzioni semplicistiche, a cercare di nascondere le proprie difficoltà creando nemici ipotetici contro cui combattere. E in questo senso la contemporanea presenza di un governo che esce più forte dalle regionali (salvo un piccolo passo indietro di FdI in Lombardia rispetto alle politiche) e di un percorso che permetterà alla maggioranza di non avere elezioni importanti con cui confrontarsi di qui ai prossimi quindici mesi (le europee sono nella primavera del 2024) potrebbe offrire agli azionisti di governo una opportunità vera: concentrarsi un po’ meno sulle armi di distrazione di massa da usare per migliorare i sondaggi e concentrarsi un po’ di più sulle giuste alleanze da costruire in Europa per provare a difendere l’interesse nazionale, utilizzando finalmente una strategia diversa da quella del vittimismo. In bocca al lupo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.