via Lapresse

La bozza

Così il governo Meloni cambia la governance del Pnrr

Mariarosaria Marchesano

Nel prossimo Consiglio dei ministri verrà discusso il testo per la semplificazione del piano. "Si potrà procedere a dei veri e propri commissariamenti accorciando gli iter", ci spiega la coordinatrice dell'Osservatorio sul Recovery Lab della Cattolica

Parallelamente alla trattativa in sede europea, sul tavolo del Consiglio dei ministri è atterrata la bozza di decreto per la semplificazione del Pnrr. Dovrebbe vedere la luce la prossima settimana sempre che le modifiche che Palazzo Chigi intende apportare siano coerenti con le linee guida che la Commissione europea ha emanato in attesa Bruxelles approvi la revisione del regolamento a cui gli stati membri devono uniformarsi. Una delle novità più importanti del decreto è l’articolo 3: “Disposizioni urgenti in materia di poteri sostitutivi”. Che cosa vuol dire?

 

L’Osservatorio sul Recovery Lab dell’Università Cattolica sta seguendo con attenzione l’evoluzione dell’iter del provvedimento e la sua coordinatrice, la giurista Barbara Boschetti, spiega al Foglio che da una prima lettura si capisce che saranno introdotte misure che consentiranno allo stato di sostituirsi più efficacemente e più rapidamente agli enti locali inadempienti, considerato che una quota di comuni, soprattutto del mezzogiorno, ma non solo, è in serie difficoltà con la spesa dei fondi. “Si potrà procedere a dei veri e propri commissariamenti accorciando gli iter necessari a dimostrare il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano da parte dei comuni e degli altri soggetti a cui è affidata la realizzazione del piano”, dice Boschetti. Va detto che i poteri sostitutivi, previsti fin dalla prima stesura della governance del Pnrr, non sono mai stati finora attuati. Ma per il governo è tempo di imprimere una svolta dimezzando i termini previsti per sostituirsi agli amministratori locali. Ne scaturirà un cambio di governance del Pnrr. Non è così? “La centralizzazione dei poteri è una delle strade che il governo può percorrere per aumentare la sua capacità di spesa dei fondi e raggiungere così gli obiettivi del Piano su cui, tra l’altro, l’Europa non è disposta a trattare, sto parlando della coesione territoriale e della riduzione delle disuguaglianze che poi è il motivo per cui sono stati tanti soldi all’Italia. Un’altra strada potrebbe essere di cercare di potenziare la capacità progettuale e di spesa degli enti locali aiutandoli a consorziarsi o a unirsi per superare deficit come quello del personale. Come ci insegnano le esperienze del passato, non sempre è la nomina di commissari a risolvere i problemi dei territori. Tra l’altro il nuovo regolamento europeo consentirà di attivare dei presidi territoriali per l’assistenza tecnica dei soggetti attuatori e di potenziare il ruolo dei rup, i responsabili amministrativi dei provvedimenti”.

 

Al di là delle buone intenzioni, appare come un paradosso che il governo stia cercando di centralizzarne la gestione del Pnrr, che insieme con gli altri fondi europei è l’unico strumento su cui può contare per la crescita economica del paese, nel momento in cui ha dato il via libera preliminare al disegno di legge sull’autonomia differenziata. Da un lato si decentrano e dall’altro si accentrano i poteri dello stato. Non è una schizofrenia? “In effetti, può sembrarlo: la governance del Pnrr, estremamente frammentata rispetto agli altri paesi europei, riflette le distorsioni del titolo quinto della costituzione che è stato riformato in senso federale. Con il decreto si cerca di porvi rimedio ma c’è il rischio di creare ulteriore confusione”.

 

Sul piano della trattativa europea, invece, che margini ha il governo di ottenere qualcosa in cambio del via libera agli aiuti di stato? “L’articolo del regolamento europeo che consente agli stati di modificare il Pnrr prevede la possibilità di dimostrare l’impossibilità oggettiva di raggiungere una milestone o un target a causa dell’inflazione, oppure per incompatibilità con Repower Eu, che è il nuovo capitolo che si aggiunge al Pnrr”. E dunque? “Nel caso dell’Italia vedo come possibile l’adattamento degli investimenti previsti per alcune opere agli aumenti di prezzo che ci sono stati, ma mi pare evidente che non potranno essere toccate le né le riforme né tantomeno ci può essere un’interpretazione diversa del concetto di riduzione delle diseguaglianze territoriali”. Un’altra novità del dl allo studio di Palazzo Chigi è che si prevede un contributo dell’Agenzia del Demanio all’attuazione del Pnrr sia per residenze universitarie sia per quanto riguarda l’installazione di impianti di energia rinnovabile su immobili demaniali. Ma questo non dovrebbe rappresentare un punto di discussione.

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