Giorgia Meloni a Bruxelles (Lapresse)

Le partite di giro

Meno vincoli e più flessibilità: cos'ha ottenuto l'Italia dal Consiglio Ue

Stefano Firpo

La riunione straordinaria ha confermato l'importanza di dimostrare il nostro quotidiano impegno a raggiungere gli obiettivi del Pnrr: da questo dipenderanno le concessioni quando in Europa si riparlerà di Fondo sovrano

Le conclusioni della riunione straordinaria del Consiglio europeo che si è svolto la scorsa settimana forniscono importanti indicazioni su quale sarà l’orientamento di politica industriale che l’Unione europea definirà nei prossimi mesi, nella scelta fra più sussidi alle politiche industriali nazionali o costruzione di una politica industriale pan-europea. Le istanze “nazionaliste” di Francia e Germania in favore di un generalizzato rilassamento dei vincoli europei alla concessione di aiuti da parte di ogni singolo stato sembrano essere state in buona parte accolte. Al contrario, sulla costruzione di un fondo per la sovranità europea volto a sostenere gli investimenti nei settori strategici, il Consiglio si è limitato a “prendere atto dell’intenzione della Commissione di proporlo, prima dell’estate 2023”. La palla è stata buttata in tribuna. Di fronte alla sfida dei sussidi americani, l’Europa sembra, insomma, orientata ad andare in ordine sparso.

 

Così in men che non si dica, la Commissione ha proposto una nuova versione del quadro temporaneo di aiuti post-crisi ucraina (il cosiddetto Quadro temporaneo di crisi e transizione) e si appresta a rivedere il regolamento che indica quali investimenti possano essere esentati dall’applicazione delle regole sugli aiuti di stato. Da un lato, verranno alzate le soglie al di sotto delle quali gli aiuti agli investimenti verdi possono essere concessi senza notifica e autorizzazione e, dall’altro, si potenzierà l’intensità di aiuto per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione dei processi di produzione industriale nei settori green: batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori. Viene poi previsto un aiuto eccezionale, il cosiddetto “matching aid”, che consente di offrire lo stesso sussidio per progetti di investimento per i quali è disponibile un sostegno in paesi extra Ue, in modo da far sì che l’investimento venga effettuato in Europa. Così Francia e Germania potranno rispondere a sussidio con sussidio e mezzo. Si tratta nel complesso di modifiche potenzialmente molto distorsive che avvantaggeranno quei paesi con margini di spesa più ampi. Il rischio è di perpetrare ed ulteriormente esacerbare quanto avvenuto fino a oggi con Francia e Germania che hanno finanziato il 77 per cento dei 673 miliardi di aiuti erogati in tutta Europa.

 

In cambio di questo significativo allentamento dei vincoli sui sussidi, l’Italia ha ottenuto una maggiore flessibilità sull’utilizzo dei fondi Ue già esistenti. Il Consiglio europeo ha infatti invitato la Commissione “a garantire la piena mobilitazione dei finanziamenti disponibili e degli strumenti finanziari esistenti, così da fornire sostegno tempestivo e mirato nei settori strategici, senza minare gli obiettivi della politica di coesione”. Questa apertura potrà certamente avere il pregio di utilizzare “a vasi comunicanti” le risorse per il Pnrr, i fondi della coesione e quelli del fondo sviluppo e coesione, un’opzione certamente utile in tempi di alta inflazione e con oltre 100 miliardi di opere pubbliche da realizzare nel Pnrr. Tuttavia le risorse su cui l’Italia potrà effettivamente agire sono ancora incerte e rischiano di essere limitate rispetto a quanto nell’immediato potranno mobilitare Francia e Germania. 

 

Ma c’è di più. I programmi del Pnrr, a differenza di quelli della coesione, non si misurano in spesa. Si misurano nei risultati conseguiti indipendentemente dall’ammontare delle risorse. Se sul fronte delle politiche di coesione il nostro fallimento storico è quello di non aver saputo e ancora di non saper spendere, il successo del Pnrr si misurerà esclusivamente nel centrare gli obiettivi di investimento e di riforma pattuiti ex ante con la Commissione. Alcuni di questi obiettivi del Pnrr potranno certamente beneficiare di un incremento di risorse, ma molti di essi dipendono da altri fattori: semplificazioni, velocizzazione degli iter autorizzatori, sostegno agli enti locali nella gestione degli appalti, interventi sullo squilibrio di competenze fra offerta e domanda di lavoro. D’altra parte sono proprio gli impegni vincolanti presi su obiettivi di risultato che fanno del Pnrr un motore molto potente per vincere resistenze e incertezze sul cambiamento riformatore. La sfida del Pnrr si gioca e si misura, dunque, soprattutto nel mantenere una forte e costante attenzione sulle riforme necessarie a velocizzare la spesa e soprattutto a renderla efficace in termini di risultati concreti.

 

Vale la pena ricordare che proprio da questa capacità di dimostrare il nostro quotidiano impegno a raggiungere gli obiettivi del Pnrr dipenderà la possibilità di ottenere qualche concessione concreta quando in Europa si riparlerà di Fondo sovrano e il nostro paese tornerà a perorare la causa di una – per noi vitale – risposta comune sulla politica industriale. Su questo, riforme e obiettivi centrati nei tempi giusti, più ancora che sulle cene all’Eliseo, si misurerà nei prossimi mesi la presenza e la forza dell’Italia in Europa.

Stefano Firpo è direttore generale di Assonime

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