Foto di Riccardo Antimiani, via Ansa 

l'opinione

Come è successo che il Pd ha trasformato il liberalismo in un nemico della sinistra

Nicola Rossi

L'idea degli anni Novanta di fare del Partito democratico il veicolo della "rivoluzione liberale" era ingenua. E anche errata. Guardando il nuovo "Manifesto dei valori" non sembra ci sia spazio per idee che possono portare a tempi migliori. E forse lo sanno anche i dem

Prendo la parola – come si direbbe nell’Aula del Parlamento – “per fatto personale”. Da quando (ormai oltre dieci anni fa) decisi di non farne più parte ho evitato accuratamente – e spero proprio di esserci riuscito – di esprimere considerazioni o valutazioni dirette sulle vicende del Partito democratico. Non sarebbe stato elegante, per così dire. Se torno sull’argomento oggi è perché il decennio trascorso me lo consente, credo, ma soprattutto perché Stefano Folli (sulle colonne de la Repubblica) cortesemente mi cita fra gli esponenti del “tentativo riformista” del Pd che oggi “propongono la loro testimonianza in attesa di tempi migliori”.

 

Temo si sbagli in quest’ultima valutazione e provo a spiegare perché. L’idea che il Partito democratico potesse farsi protagonista di quella “rivoluzione liberale” che in Italia praticamente tutte le forze politiche hanno, in qualche fase della loro vita, evocato era effettivamente presente negli anni Novanta del secolo scorso in alcuni esponenti del Pd. Ma – e parlo soprattutto per me – essi confondevano le loro aspirazioni con quelle di un organismo collettivo dotato di una sua, per quanto non sempre omogenea, radicata e solida cultura politica che con il liberalismo classico nulla aveva a che spartire. Questo era vero allora ed è apparso sempre più vero nei primi vent’anni di questo secolo quando alcune scelte di quegli anni Novanta sono state accantonate e, dopo averle accantonate, si è scelto non solo di rinnegarle e adottarne di opposte ma addirittura di metterle all’indice.

 

E questo non solo e non tanto da parte dei singoli militanti – che in buona misura quelle scelte non avevano per la verità mai condiviso e anzi avevano per quanto possibile avversato – ma da parte di quegli stessi esponenti di primo o primissimo piano che quelle scelte avevano prospettato, sostenuto e avallato. Nella seconda parte degli anni Novanta, al termine di una interminabile riunione di sezione dedicata allo spiegare ai militanti il perché e il percome di alcune scelte riformiste e a invitare la base del Pd a farle proprie, in una stanza in cui il fumo si tagliava a fette, un vecchio militante di quella sezione mi si avvicinò per mormorarmi all’orecchio: “Ho capito, dobbiamo nasconderci”. Aveva, veramente, capito tutto, lui. Aveva veramente capito che, in un mondo in cui il vento di riforme anche solo vagamente liberali soffiava forte, la tattica consigliava di assecondarlo. Ma che, non appena quel vento si fosse calmato, la cultura di fondo della sinistra italiana sarebbe tornata a prevalere. E così è stato.

 

La sinistra italiana – di cui il Pd è parte integrante – con il liberalismo classico non ha proprio nulla a che fare. Nemmeno di striscio. Comprensibilmente e legittimamente. Il “Manifesto per il nuovo Pd” ne è la dimostrazione plastica e consapevole (e l’idea che si possa conservare la benevolenza di alcuni facendo convivere il Manifesto del 21 gennaio 2023 con il Manifesto dei valori del 16 febbraio 2008 mi sembra solo uno stratagemma, se mi è consentito, puerile che non appare tale solo a chi vuole fermamente credere che le cose siano diverse da quelle che realmente sono).  L’idea di pochi, in quegli anni Novanta, di fare del Pd il veicolo della “rivoluzione liberale” era – parlo soprattutto per me – ingenua, nel migliore dei casi. Più correttamente, errata. E sono lieto di averlo compreso, anche se in ritardo, e di averne tratto le conseguenze.

 

E il fatto che ci sia ancora qualcuno (sempre meno, mi pare) che ripete l’errore – e si sforza, ad esempio, di scindere le libertà cosiddette economiche dalla libertà cosiddette civili, illudendosi che si possano avere le une senza le altre - non lo attenua né lo giustifica. In questo senso, almeno per quanto mi riguarda, non c’è nessuna “attesa di tempi migliori”. Dal punto di vista del Pd (let alone le altre forze politiche che si collocano a sinistra) per “tempi migliori” si intendono tempi che io tenderei a guardare con enorme preoccupazione. Dal mio punto di vista, “tempi migliori” per il paese possono esserci regalati solo da idee e opinioni che la sinistra italiana – comprensibilmente e legittimamente – non considera e non potrà mai considerare proprie. E sono certo che, a parti invertite, il Pd sottoscriverebbe queste parole.

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